Intervista col neologo 3. Non sempre c’è bisogno di un’epoca.

 

Emporio Porpora, Ooops!, 2011

di Leonardo Terzo

La vita stretta, la pancia larga, l’occasione va colta, il giudizio malcerto. Non mancherà una citazione sull’arte fredda, per introdurre la mostra di Hitton First al Gate Modern di Sponda. L’impaginazione è deprimente e desiderante. Davanti al Gate si erge l’enorme dolore che esibisce il proprio apparato cavernoso, un invito a entrare, a dimostrazione che la mostra non è vietata ai minorati. (Ma è sicuro?)

Nella Hall la messa in scena, con un sapiente uso dei vapori, di un attaccapanni in platino, tempestato di sugheri, per lo sguardo collettivo dei cappotti, iconica spettacolarizzazione delle sale d’attesa. Un tema che attraversa l’arte dal Cento in poi. (Bella questa retrodatazione…)

L’opera conferma la profezia di Vice, che parlava letteralmente del retrobottega del mondo, il primato della grattugia rispetto ad ogni moderazione e modernità. Cinici mozzi di galere e triremi. (Infatti ho apprezzato…)

L’artista par-inese porta a fondo l’ansia che sempre accompagna la lepre e il memento dimenticato nel corso dei secoli. Come Plinio Mantenna ed Ernesto Aurombona, negli Anni Quaranta non ancora emessi, First s’allontana dalla immortalità, semplificando la rilevanza di una vasca vuota, ma mezza piena di sarte appetite dall’immaginario di tutti, almeno allora. (Questo, a dire il vero, lo sapevamo.)

Zozzi, volutamente settici, educatamente disposti a farsi in là. L’esempio è Factory-factory-chop, in acqua salata, con sensibilità a volontà. First non vuole creare margini di vita e forse di viltà, ma never made pronti al ripristino, o per lo meno al bar.

La cornice, l’acquisto, la molla, il lavoro in equilibrio: non ci sono immagini, solo diversificati anfratti di una rilettura feticizzata, manuale, costumata a sorpresa. Non sempre c’è bisogno di un’epoca. (Siamo d’accordo, ma chi l’avrebbe detto?)