Dal Modernismo al Postmodernismo. Sei lezioni di Leonardo Terzo.

Leonardo Terzo, A Medium in a Medium, in a Medium, 2011

1. Postmodernità e postmodernismo

Ci sono due prospettive per considerare il postmodernismo: un punto di vista genealogico e uno analogico. Il primo delinea in ciascuna delle arti come il postmodernismo si è evoluto e distinto dal modernismo di quella specifica arte. Il secondo delinea il modo in cui ogni arte identifica il suo postmodernismo in rapporto a quello delle altre arti. In conseguenza di questa trasversalità analogica il postmodernismo è diventato un oggetto di studio teorico, come fase storica e culturale definita e indipendente. Ciò finisce per dare un involucro di coerenza ad un contenuto che invece vorrebbe presentarsi come una proliferazione dispersiva.

Occorre inoltre distinguere le nuove configurazioni della realtà economica, sociale e politica, che costituiscono la postmodernità, dalle interpretazioni culturali di queste realtà, che costituiscono il postmodernismo. Il rapporto tra postmodernità e postmodernismo è esso stesso argomento di discussione, e riguarda il divenire e l’intreccio di tre prospettive entro cui modernismo e postmodernismo si manifestano. Questi settori solo le arti, la filosofia e l’economia politica. L’economia politica, a sua volta, va intesa sia come modo di produzione, sia come razionalizzazione e interpretazione culturale di questo assetto economico.

Dal punto di vista economico molti hanno parlato di “tardo capitalismo”, che sostanzialmente vuol dire potere degli oligopoli su scala mondiale, e adesso si parla di globalizazzione. In termini culturali è la dissoluzione dell’egemonia borghese e l’avvento della società di massa.

Probabilmente il postmodernismo si è esaurito come configurazione egemone a livello culturale negli anni ’90, e ora per definire la contemporaneità si cercano nuove denominazioni, per esempio era del post-umano, in riferimento all’intelligenza artificiale e agli organismi cibernetici o cyborg. Sempre in riferimento allo sviluppo tecnologico, una visione critica di tali sviluppi individua la caratteristica determinante della contemporaneità nell’immagine del mondo come discarica globale elettronica.

Il modernismo della prima metà del ‘900 era già una reazione e un tentativo di resistenza alla società di massa. Il postmodernismo sembra invece un’acquiescenza  alla società di massa, se non la sua celebrazione. Secondo altri il postmodernismo contiene anche elementi di sfida alla società di massa, ma una sfida che si è rivelata poi senza sbocco. Vedremo infatti che la politica del postmodernismo è transizione, indugio, contraddittorietà, debolezza del pensiero, impasse, tutte cose che però dal postmodernismo vengono accettate come valori. L’irresoluzione diventa costante antropologica.

Ma a posteriori e col senno di poi, è possibile vedere che il postmodernismo è una fase che occupa quasi tutta la seconda metà del ‘900,  in cui si verifica una vasta gamma di riconfigurazioni materiali e culturali. Queste riconfigurazioni appaiono in primo luogo come un venir meno di punti di riferimento e di modelli formali di ogni tipo, e quindi come destrutturazioni, decostruzioni, confusioni, fluidificazioni, tutto in preparazione e in attesa della rivoluzione tecnologica.

In un primo tempo ciò è percepito con ansia, e a ragion veduta, perché, come si sa, le rivoluzioni non sono un pranzo di gala, e fanno molte vittime. Perciò questi cambiamenti sono descritti con termini come crisi, alienazione, massificazione. La creazione del termine postmodernismo è di per sé il sintomo di un giro di boa, di un atteggiamento diverso nei confronti di quelle stesse cose che, a torto o a ragione, cominciano ad essere considerate principalmente come  interazioni necessarie: così abbiamo l’interdisciplinarietà  dei saperi, la testualità, l’intertestualità e l’interattività, il sincretismo degli stili e il citazionismo. Poiché questi fenomeni materiali e culturali maturano a piena consapevolezza alla fine del secolo e nel trapasso addirittura di millennio, possiamo riassumerli e definirli con il termine millenaristico di apocalisse culturale.

2. Storia ed economia

Cronologicamente, l’inizio della postmodernità si fa risalire a varie date: il 1945, il 1968, il 1980 che comunque possono essere considerate come tappe di un processo multiforme, che si manifesta come progressiva presa di coscienza.

La data più antica è il 1945, cioè la fine della Seconda Guerra Mondiale, da cui parte l’accelerazione dello sviluppo, con la modernizzazione forzata, già innescata dalla guerra stessa, cui ora si aggiungono la burocratizzazione e il mutamento dei costumi sociali, il consumismo e le sottoculture. Già negli anni ’50 si parla di società postindustriale, di fine delle ideologie, di rivoluzione dei manager, di fine delle economie nazionali e di messa in questione dell’identità del soggetto.

Il ’68 invece pone l’accento sull’arbitrarietà della cultura, sulla storicità del principio d’autorità, sulla morte dell’autore, e quindi abbiamo un ulteriore indebolimento della soggettività. Gli anni ’80 sono il periodo in cui ogni consapevolezza viene rielaborata e dibattuta in termini di “teoria” e “prassi”. Ogni teoria è pratica, perciò investendo nuova consapevolezza nella Storia stiamo facendo la Storia. Tradotto in termini demotici, questo significa in sostanza che, poiché la forma e il senso del mondo dipendono dalle interpretazioni che noi diamo di esso, inventando nuove interpretazioni stiamo ricreando il mondo.

Tuttavia dagli anni ’60 ad oggi il postmodernismo si è trasformato per via di accumulazione di una serie di elementi. All’origine consisteva principalmente nella tendenza letteraria della  narrativa ad allontanarsi dalla rappresentazione e ad accentuare il momento autoriflessivo, diventando metanarrativa. Vi si aggiunge però subito una nuova sensibilità eclettica portata dai vari movimenti di protesta sociale dei giovani, del femminismo e delle minoranze etniche, che verranno teorizzate più distintamente negli anni ’70, e troveranno il loro totem riassuntivo nel concetto dell’ Altro, con la maiuscola. In questo periodo subentra anche il post-strutturalismo di Barthes e Derrida. Successivamente tra gli anni ’70 e ’80 vi si aggiunge la psicanalisi di Lacan e l’analisi socio-culturale di Foucault e di Deleuze e Guattari.

Questi contributi europei, principalmente francesi, trovano subito una quantità di epigoni in America. Il postmodernismo diventa una moda mondiale quando La condition postmoderne di Lyotard viene tradotta in inglese. Ricordiamoci infatti che tutti i fenomeni culturali, da Derrida a Benigni, per diventare mondiali devono passare dagli Stati Uniti. Invece nel resto dell’Europa, soprattutto in Inghilterra con i “cultural studies”, e in Germania con i discendenti della scuola di Francoforte come Habermas e Ulrich Beck, il postmodernismo è accolto e discusso con forti riserve.

Il postmodernismo è un’etichetta generica che si applica quasi a tutto; i suoi sostenitori ritengono che sia contraddittorio, frammentario e pluralistico, e vada trattato di volta in volta soffermandosi sugli elementi specifici, mentre le generalizzazioni sul postmodernismo sarebbero fatte prevalentemente dai suoi critici. Ciononostante se il postmodernismo esiste bisogna pur parlarne anche in termini più generali.

Dal punto di vista dell’economia politica mi limiterò a dire che è l’effetto dall’economia dell’offerta, che promuove la necessità di stimolare la domanda e il consumismo di tutti i tipi. Di conseguenza la pubblicità ha preso il posto dell’industria pesante, e trasforma le merci in messaggi, mentre la comunicazione ha trasformato i messaggi in merci. La comunicazione come consumo e il consumo della comunicazione esaltano la dimensione sensibile ed erotica di ogni esperienza, e collocano nel presente istantaneo il valore sempre più effimero della conoscenza, riducendo l’uso e l’utilità della coscienza.

3. Logica e filosofia

La dimensione filosofica del postmodernismo è quella culturalmente più nota e spettacolare, ma anche quella più debole e inaffidabile: si parla infatti di pensiero debole, ma non in senso negativo. Dal punto di vista logico e filosofico secondo molti critici del postmodernismo esso nega tre presupposti metodologici: la totalità, la finalità, l’utopia (vedi: Dick Hebdige, Hiding in the Light: On Images and Things, London Routledge, 1988).

La negazione della totalità è la negazione di ogni comprensione sistematica che implichi un accordo su che cosa sia la natura umana e sugli obiettivi comunitari dell’umanità. Si nega perciò ogni filosofia della Storia; e anche la sociologia, l’etnografia e la statistica sarebbero solo maschere del potere. Si perde la fiducia nella possibilità di organizzare la lotta politica. Perciò l’intellettuale non può agire alla luce di una  visione sistematica, ma solo impegnarsi in modo contingente nei micro-rapporti di potere.

La negazione della finalità sostituisce i concetti di causa ed effetto, di  origine, di modo di produzione con paradigmi desunti dalla teoria delle catastrofi o dalle figure retoriche come parodia, simulazione, pastiche. Il post-strutturalismo di Derrida toglie significato alle parole; la teoria dei simulacri di Baudrillard capovolge il rapporto tra struttura economica e sovrastruttura culturale: ora le immagini precedono e determinano quel che resta della realtà. Ogni autenticità è immaginaria; ogni scienza è falsa coscienza; ogni razionale è inconscio. Secondo Richard Rorty (1931-2007), il più famoso filosofo del pragmatismo americano contemporaneo, la ricerca della verità è sostituita dalla conversazione.

La negazione dell’utopia è lo scetticismo sulla possibilità collettiva di realizzare un destino comune, per esempio il dominio equilibrato della natura, l’organizzazione razionale delle forme sociali, la fine delle oppressioni e dello sfruttamento. La tendenza anti-utopica è contro tutto ciò che attribuisce valore alla pianificazione. La pianificazione viene collegata automaticamente ai campi di sterminio nazisti e staliniani. In september, the foundation pledged $51 million http://essaydragon.com/ pay for an essay to create 67 of the new-style high schools in new york city alone… Come si sa questa è la critica all’illuminismo visto come prototipo di tutte le ideologie del progresso.

Questa è una visione critica del post-modernismo filosofico ma, a prescindere da ciò, si può dire che il postmodernismo sopravvaluti l’incidenza delle filosofie. Se per esempio la religione ha sempre meno effetti pratici nelle società occidentali contemporanee, non è per il diffondersi della filosofia di Nietzsche o di Darwin,  ma perché il senso del rapporto col potere oltre la sfera mondana, cioè col divino, viene meno quando ci si rende conto che è la partecipazione alle pratiche comuni e mondane che è capace di incidere nella nostra vita.

Bisogna dire però che l’idea di postmodernità non viene prima di quella di postmodernismo. È il contrario: prima nasce il concetto di postmodernismo in opposizione al modernismo delle  arti, e successivamente l’idea di postmodernità. Succede che la teoria estetica del modernismo cerca di trovare a se stessa un fondamento di carattere storico, sociale e politico, ed è a questo punto che si pensa che se oltre il modernismo c’è anche il postmodernismo, questo a sua volta non può che essere il risultato di una situazione storica e sociale ulteriore e diversa da quella che ha prodotto il modernismo.

E poiché l’arte del tardo modernismo o “ipermodernista” si fonda sulla parodia, sul paradosso, sulla metanarrativa, ecco allora che il senso di questa operatività estetica, cioè di queste poetiche, si traduce e viene trasposta nel resto della filosofia, per lo più nelle filosofie della differenza. Ecco allora il rifiuto deliberato di risolvere le contraddizioni, in contrasto con i sistemi filosofici che invece lo fanno. Ecco la problematicizzazione di qualsiasi dato culturale, per dimostrare che non è naturale, come è ovvio, essendo culturale. Ecco allora cambiare nome alle ideologie, chiamandole “narrazioni” o “meta-narrazioni”. Ecco allora il bisogno dell’esplicitazione dell’implicito di tutte le nozioni, come se coloro che le usano normalmente non sapessero cosa implicano.

4. Le Arti

Ogni epoca ha le sue arti e i suoi generi dominanti. Nel modernismo il genere letterario paradigmatico della letterarietà era la poesia lirica, così che anche il romanzo, per esempio Joyce, Virginia Woolf, Proust, Kafka, Henry Miller, tendeva ad esprimersi con una scrittura poetica, cioè ad un alto grado di elaborazione formale. Per esempio tendeva a costruirsi sul principio dell’associazione, invece che su quello della consequenzialità causale.

Nel postmodernismo invece le arti privilegiate sono l’architettura e la narrativa, così che, mentre prima era il romanzo che tentava di costruirsi con una logica sperimentale come la poesia, ora è la poesia che tende a diventare poesia narrativa. L’architettura invece è significativa perché si rivolta in modo più evidente e spettacolare contro il funzionalismo dell’architettura modernista.

Il modernismo si identificava con le avanguardie storiche, e il concetto di avanguardia privilegia l’originalità e implica agonismo e antagonismo contro ogni poetica precedente, per cui le avanguardie, con tutti i loro “ismi”, a partire dall’impressionismo, si susseguono incessantemente dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino  agli anni ’60 del secolo successivo. Il postmodernismo invece non nega più ciò che lo ha preceduto, ma assimila e coopta sincretisticamente tutte le poetiche con due artifizi retorici: la citazione più o meno ironica e la parodia.

Fino al Rinascimento il criterio nel giudizio di valore nelle arti non era l’originalità ma il principio della pienezza, Un’opera letteraria e artistica era apprezzata per la sua capacità di contenere e riepilogare il maggior numero di riferimenti alla tradizione; era apprezzata quanto più fosse comprensiva dei valori e degli interessi collettivi. L’innovazione c’era lo stesso, ma era una conseguenza implicita del mutare delle condizioni del lavoro artistico e non era perseguita come fine dell’arte. Il postmodernismo non fa questo, bensì riutilizza il già fatto, ma dichiara di farlo con una consapevolezza che rende il riuso una citazione ironica. La novità sta nella consapevolezza di copiare: quello che una volta poteva essere plagio ora è citazionismo.

L’altro elemento caratterizzante è la testualità, e di seguito l’intertestualità. Per spiegare la testualità bisogna dire che il postmodernismo sostanzialmente non produce opere molto diverse per caratteri formali da quelle del modernismo, ma piuttosto ha un atteggiamento diverso nell’uso di tutti i costrutti culturali, artistici e no, del presente e del passato, come spiega Roland Barthes nel saggio “Dall’opera al testo”, 1971.

Ci sono però anche modi meno radicali di essere postmoderni, come per esempio la metafiction storiografica di Linda Hutcheon (The Politics of Postmodernism, 1989), che comprende romanzi come Cent’anni di solitudine, di Garcia Marquez, o Il nome della rosa, di Umberto Eco, nei quali Storia e invenzione si sovrappongono per attenuare, se non abolire, i confini tra di esse. A prescindere dalle opinioni degli autori, chi interpreta questi romanzi come postmoderni attribuisce loro un intento contrario a quello del romanzo storico tradizionale: non si tratta più di inventare una trama che serva a divulgare la conoscenza di un periodo storico, ma al contrario si usano i fatti storici nella finzione letteraria  per dimostrare che anche la storia è invenzione. Oppure ci sono opere che pongono a confronto la realtà con la fuga nella finzione, come nel film di Woody Allen La rosa purpurea del Cairo, 1985. In esso, al contrario che in Madame Bovary, di Flaubert, 1856, si pongono esplicitamente a confronto vantaggi e svantaggi della realtà e della finzione: in quale delle due è meglio vivere? Questo tipo di opere pongono i problemi concettuali del postmodernismo in forme narrative del tutto comprensibili.

Per Barthes invece, per quanto possa essere innovativa e d’avanguardia, l’opera ha un senso in quanto appartiene a un genere, artistico o non artistico, non importa, come una commedia o un saggio, o un manuale ecc. In ogni caso, è la fruizione delle convenzioni di genere che ne fa qualcosa di definito e riconoscibile. In confronto al testo, l’opera ha una funzione; ha dei significati; ha dei confini definiti, per esempio un inizio, un mezzo e una fine, e una serie di altre convenzioni o artifici retorici che rendono evidente il rapporto fra tradizione e innovazione, e che sono offerti al fruitore con delle intenzioni prima o poi accessibili anche quando sono innovative. Pensiamo alle Demoiselles d’Avignon di Picasso, 1907, che inaugura il cubismo, e che a suo tempo poteva apparire opera problematica e ora tutti capiscono.

Per Barthes passare dall’opera al testo non significa necessariamente far ricorso a tecniche inedite; significa invece affrontare lo stesso oggetto che finora abbiamo chiamato “opera” con un diverso atteggiamento. Esso consiste nell’abolire la consapevolezza e quindi l’uso di tutte le precedenti convenzioni letterarie o non letterarie, ed entrare e rimanere nel testo, cioè nel discorso del tessuto linguistico, per fare un’esperienza che consiste nel giocare col linguaggio e goderne le potenzialità espressive.

Il testo non è né autoriflessivo come l’opera d’arte, né referenziale come i documenti e i messaggi della vita reale. Diventa invece una zona dove il fruitore esercita l’esperienza della lettura, che Barthes vede come un gioco, e quindi spensierata, mentre invece secondo me può essere anche disperata. Ad ogni modo questa esperienza, più che come decodifica, interpretazione e comprensione, è un’immersione con effetti di divertimento, e io aggiungo: con effetti di angoscia, per chi magari teme di affogare.

Il testo è un campo metodologico dove si scatena una forza sovversiva contro le classificazioni note, e una simbolicità senza fine: è il cosiddetto fluttuare del significante, per cui una parola, e il testo come insieme di parole, non ha più un significato stabile. E non solo può significare più significati, come nell’ambiguità modernista e nella polisemia semiotica, ma in teoria può significare ogni significato, se glielo si vuol dare, in pratica però rinviando (la “differanza” di Derrida) sempre questa attribuzione in un futuro, e lasciando un vuoto di significato nel presente.

Gli effetti pratici sono l’abbattimento delle distinzioni disciplinari e dei generi, sia fra le arti, sia fra le arti e gli altri saperi, e il fatto di attrarre l’attenzione sui processi di produzione e ricezione del linguaggio. Ne derivano anche l’intertestualità e l’interattività. È qualcosa che si esperimenta più concretamente nella navigazione in rete, e cioè con l’esperienza dell’ipertesto. Infatti  George Landow, teorico dell’ipertestualità e creatore di tanti ipertesti didattici e informativi, ritiene che i concetti del postmodernismo e della decostruzione, che possono apparire poco sensati in teoria, sono concretamente realizzati solo dall’ipertesto, dove il lettore costruisce il suo percorso di lettura non lineare, trasportato dall’umore e dalla curiosità contingente.

5. Genealogia delle arti

Fin qui abbiamo parlato di atteggiamenti generali. Ora vediamo come ogni arte si è disimpegnata  singolarmente nel produrre il suo particolare postmodernismo distinguendolo dal suo particolare modernismo e con quali motivazioni.

In letteratura il modernismo predicava l’ambiguità del linguaggio poetico rispetto al realismo. Il realismo credeva di poter capire e descrivere la realtà, il modernismo invece predicava la relatività  dei punti di vista, ma poteva ancora permettersi di descrivere  l’autenticità del vissuto attraverso questi punti di vista. La verità era sostituita dell’autenticità. Il postmodernismo non esplora la difficoltà di trovare un significato, ma l’impossibilità di imporre un qualsiasi significato. Tuttavia, poiché di fatto anche il testo dice qualcosa, questa impossibilità è argomentata in forma di complessità e apertura ludica nell’attraversamento testuale.

Il modernismo metteva in discussione le nozioni di personaggio, trama, e di ogni convenzione letteraria del realismo; il postmodernismo invece le recupera, ma per smascherare la loro inadeguatezza e la loro retoricità come meccanismi per la costruzione del senso. La metanarrativa è un’interrogazione non sul mondo, ma sui processi retorici con cui è costruito il mondo. Elementi di questo tipo sono presenti in tutta la letteratura, anche prima del modernismo: pensiamo a Cervantes, a Sterne, e nel modernismo a Joyce e a tanti altri. Ma ora questi interessi sono al centro e non ai margini dell’elaborazione letteraria, e diventano esemplari di ogni elaborazione di senso oltre la dimensione estetica. Perciò l’estetica, che ha preceduto gli altri saperi su questa via, ora appare il modello esemplare di filosofia, e la poesia il prototipo dell’origine del senso. “Poeticamente abita l’uomo” dice Heidegger, e questa frase è diventata uno slogan.

Un altro effetto è quindi il rimescolamento epistemologico per cui i processi dell’arte sono all’origine di ogni conoscenza, e l’atteggiamento estetico è parte ineludibile di ogni approccio al mondo. Proprio per questo però l’arte perde la sua specificità e si riversa sui fatti e sugli oggetti etnografici, cioè sugli oggetti della vita quotidiana, con la pubblicità, il design, la moda, la nouvelle cuisine, i tatuaggi, la chirurgia estetica, non ultima l’invasione della pornografia, uscita dalla clandestinità.

A parte la letteratura, nelle altre arti il postmodernismo sembra però essere più pratico e più utile, meno astratto e teorico. L’altra arte privilegiata dal postmodernismo è l’architettura. Contro il funzionalismo, i teorici del postmodernismo architettonico sostengono, a mio parere non a torto, che l’architettura non ha, né ha mai avuto, la sola funzione abitativa e utilitaria, bensì, proprio per la sua natura d’arte applicata, ma pur sempre arte, ha una funzione comunicativa.

Il recupero di tutti gli stili della tradizione accentua questo aspetto, per cui l’edificio deve inserirsi nella comunità urbana con un contributo di comunicazione e integrazione culturale che va oltre gli scopi ricettivi e le soluzioni formali permesse e suggerite dall’evoluzione dei materiali. L’eccesso in questo senso è Las Vegas, il luogo dove la comunicazione prevale totalmente sulla funzione urbana. Si potrebbe dire che Las Vegas è una città a tema, una città luna park, una città dove, accanto alle case da gioco, in luogo dei quartieri abbiamo le imitazioni di altre città e nazioni: Venezia, Roma, Parigi e non so quali altre, cioè il massimo dell’inautenticità.

La pittura è un’altra arte in cui il rapporto tra modernismo e postmodernismo assume una valenza chiarificatrice. Il modernismo cercava l’essenza delle varie arti, e in pittura ciò ha portato ad espellere dai quadri la rappresentazione figurativa, perché ritenuta un’intrusione della letteratura e del teatro. Alla figurazione il modernismo imputava una narratività e una teatralità che riteneva di per sé indulgenti e sentimentali. Quindi la pittura diventa informale, e poi addirittura monocromo, perché l’essenza della pittura è stendere un colore su una superficie piatta.

Cercare l’essenza di un’arte significa appunto autoriflessività, ripiegamento su se stessa. Invece il postmodernismo ritiene che la pittura, ma ogni arte, non può isolarsi ed evitare qualsiasi connessione e scambio di esperienza col mondo. Perciò la teatralità, ovvero la rappresentazione e il racconto, sono modalità di articolazione del vissuto umano e quindi materia che la pittura non può ignorare.

Il contrario succede nel teatro, dove spesso il postmodernismo crea spettacoli di suono e luci che sembra rincorrere la pittura modernista. Un po’ come ha fatto la fotografia, che, per diventare artistica, ha imitato la pittura nelle sue varie fasi, fino agli estremi, devo dire però molto suggestivi, di Ugo Mulas (1928-1973), le cui ultime opere consistevano nel fotografare la pellicola fotografica stessa non ancora impressionata. Attualmente un modo postmodernista di fare fotografia è ri-fotografare le fotografie ingenue della gente comune.

La televisione è un mezzo già nato in epoca postmoderna, e questa sua appartenenza costitutiva sarebbe dimostrata dal fatto che lo specifico della televisione è il flusso continuo di programmi, non importa quali, perché, come la radio, la televisione è fatta per essere sempre accesa in casa, anche se non c’è nessuno a guardarla. All’interno della televisione il genere più postmoderno è il videoclip, perché ingloba una tipologia più variegata di tecniche, materiali ed effetti. Nasce come mezzo per reclamizzare la musica, ma finisce per usurparne la preminenza, diventando l’arte più libera e ricca, parimenti agli spot pubblicitari che hanno a disposizione risorse finanziarie illimitate. Sia i videoclip, sia la pubblicità sono sempre meno condizionati dalla funzione persuasiva diretta, e tendono ad assumere quell’autoriflessività incondizionata propria dell’arte pura. Ma questo è un modo di essere più modernista che postmodernista.

6. Avanguardie e performance, tempo e spazio.

Il postmodernismo abolisce la gerarchia implicita delle avanguardie, per cui ciò che era nuovo e attuale si sovrapponeva inesorabilmente al passato, rendendolo inutilizzabile oggi. Non per nulla il modernismo si chiama così, perchè privilegia il moderno. Alla gerarchia fondata sul tempo del modernismo, il postmodernismo sostituisce la valorizzazione dello spazio, privilegiando la performance. L’uso della performance invade ora tutte le arti, e non è facile individuarne precisamente il senso.

La performance avviene in un tempo unico come evento determinato, che assume valore in quanto “accaduto” veramente in un momento qualsiasi, che potremmo chiamare presente perpetuo. Ma soprattutto l’evento è accaduto e si è collocato in un luogo che diventa parte dell’evento stesso. Lo spazio dell’evento diventa la dimensione in cui l’accadimento assume la sua pregnanza significativa. Tuttavia è significativa in negativo, non per quello che è, ma per quello che non è, cioè non perchè è in un determinato spazio, ma perché è fuori dagli spazi già usati dalle arti.

Così come la cornice del quadro distingueva la finzione dentro la cornice, dalla realtà fuori dalla cornice, ora gli eventi sono tali perché avvengono in spazi che non sono convenzionati con l’arte: non sono musei tradizionali, ma strade, città, montagne, alberi, corpi umani. Ma anche quando sono ancora musei, si presentano in modo tale che la loro forma e il loro modo di presentarsi è una parte dell’evento, per cui la vera opera d’arte è la mostra stessa, più che gli oggetti che vengono mostrati.

La funzione reale e pratica dei contenitori viene esteticizzata, perchè nel frattempo l’estetica è stata dispersa nella realtà della vita, sotto forma di stili di vita; esibizione di oggetti che comunicano, siano un paio di scarpe o una motocicletta Harley Davidson; sotto forma di pubblicità spalmata ovunque: dai vestiti indossati fino alla pelle sulla faccia delle persone.

Il Modernismo era ossessionato dal tempo: pensiamo alla ricerca del tempo in Proust, al tempo mitico nella Waste Land di Eliot, alla compresenza e alla sovrapposizione di presente e Storia in Ezra Pound, al tempo ciclico e universale in Finnegans Wake. Questa ossessione era interpretata come pulsione a superare la transitorietà della vita, fissandola in un disegno o in un modulo, che è l’effetto finale del processo compositivo.

Invece il Postmodernismo vuole recuperare proprio il flusso contingente della temporalità. Così come il significato è sempre rinviato altrove, perso nelle volute del divenire, la poesia non è più sulla pagina, ma fluisce dalla voce delle letture e delle performance pubbliche. Questo flusso si manifesta in molteplici occorrenze e rompe le barriere delle interpretazioni ultime e definitive, viste come “volontà di potere”; invade gli spazi e inventa anche nuovi spazi, come la realtà virtuale.

Nella realtà virtuale e nella fantascienza cyberpunk si creano mondi paralleli, e l’interesse epistemologico del modernismo si trasforma in interesse ontologico: non è più questione di come conoscere il mondo, ma confronto tra mondi possibili o impossibili, ma comunque frutto di invenzione e non di comprensione.

I mezzi multimediali, performativi per natura, come il teatro, la radio, la televisione, e ora la rete internet, si conglomerano col telefono, le stampanti, i programmi di alterazione delle immagini e di creazione di ologrammi ed effetti speciali, le applicazioni della “realtà aumentata”, in una fenomenologia del futuro che sembrava fantascienza, e invece ci è precipitata addosso prima del previsto, uscendo dalle macchine che la generano per entrare nelle istituzioni dell’educazione e del divertimento, modificando i metodi di lavoro e le tecniche di ricerca.

Quelle che sembravano ed erano le assurdità del postmodernismo sembrano ora la traccia di qualcosa che era difficile da capire proprio perché troppo rapido ed eccessivo rispetto alle capacità umane di percezione, assimilazione e adeguamento. Questo qualcosa ormai è arrivato e probabilmente ha già travolto e lasciato indietro tutti quelli che hanno più di trent’anni o venti, o persino la prima generazione dei nativi digitali.