Tecnologia del libro e tecnologia digitale, di Cristina Marelli

 Emporio Porpora, Fiction and Fact, 2011

Sappiamo che la tecnologia del libro, intesa come una rilegatura di fogli altrimenti sparsi, numerati e raccolti in una copertina, si impone tra il secondo e il terzo secolo dell’era cristiana, per separare i testi canonici delle Sacre Scritture dai testi apocrifi. Il compito del libro in questo senso è la selezione, la separazione e la stabilizzazione di ciò che il libro contiene rispetto a ciò che non deve contenere. La sua ratio è l’inclusione e la stabilizzazione di ciò che è stato selezionato rispetto a ciò che è stato escluso.

La tecnologia digitale non nasce da finalità di politica culturale, bensì da fini di miglioramento e accelerazione della comunicazione. È invece essa ad aprire la via ad una serie di opzioni e conseguenze pratiche, culturali e politiche, derivanti dalla mobilità dei testi. In questo senso è una tecnologia dell’apertura, della riconversione e circolazione permanente. E anche della democratizzazione o della massificazione, o dell’anarchia, a seconda delle circostanze e dei punti di vista.

In questi termini, ai fini della diffusione dei contenuti, tra libro e digitalizzazione, la stampa costituisce una tecnologia intermedia, che accelera la riproduzione dei testi a prescindere dal fatto che rimangano fogli separati e sparsi o siano a loro volta rilegati in libro. In questo senso i giornali sono appunto fogli quotidiani a stampa, che in appositi archivi vengono anche conservati, ma che sono sciolti e normalmente vengono eliminati e mandati al macero da chi li compra e li legge ogni giorno.

La smaterializzazione digitale elimina gli ostacoli concreti alla fluidificazione delle informazioni in entrambe le dimensioni di spazio e tempo, e allenta i freni al rinnovamento dei canoni. Laddove sussiste, l’autorità del canone, e ancor più ogni autorità politica e culturale, deve rinnovare a sua volta le basi e i motivi della sua autorità in termini di autorevolezza, avendo sempre meno strumenti coercitivi per farlo. C’è così un graduale allargamento della diffusione e contemporaneamente della precarietà materiale dei testi: dagli incunaboli, rilegati ma miniati a mano, ai libri a stampa, ai giornali, all’informazione digitale.

Molti temono o hanno temuto e discusso la morte del libro, tra allarmi e smentite (vedi Jean-Claude Carrière e Umberto Eco, Non sperate di liberarvi dei libri, Milano, Bompiani, 2009; ed. francese, Grasset & Fasquelle, Paris, 2009: ed. inglese Vintage Books, London, 2010).  Ma, come gli ascensori non hanno abolito le scale, così le nuove e le vecchie tecnologie spesso sussistono le une accanto alle altre, anche se si spartiscono gli ambiti e le funzioni applicative.

Tra stampa e digitalizzazione resta comunque la vocazione alla stabilità, alla permanenza e alla concentrazione dell’una e alla mobilità alla variabilità e alla permutazione dell’altra. Il libro converge e contiene; il digitale è estroverso: reperisce, ispeziona e connette il testo all’esterno con altri testi con la stessa vocazione alla rapidità e all’impermanenza. Tuttavia anche nella digitalizzazione i nodi della rete hanno una varietà di usi che utilizzano spazio e tempo secondo convenienza. I siti, dedicati e no, i blog, i motori di ricerca, le e-mail, i database, i social network, presentano una gamma di tempi e modi di gestire i loro contenuti che produce testi, utenti, atteggiamenti e linguaggi ancora da studiare e comprendere meglio.

Infine l’impermanenza d’uso e di superficie tende ad oscurare l’uso opposto del digitale e della rete come archivio dell’informazione universale. L’allarme si sposta dall’impermanenza delle notizie alla loro ineliminabilità dal web, dove l’eternità della memoria, anche alla luce della protezione della privacy, può diventare una maledizione che perseguita gli ingenui che vi hanno depositato i reperti della loro vita.

 

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