Che cos’è la letteratura 6. Canone e anti-canone.

Emporio Porpora, Stage and Sidestage, 2012

L’idea stessa di letteratura moderna (cioè nelle lingue “volgari”, da non confondere con “modernista”) nasce parallelamente al formarsi degli stati nazionali. In questa fase il canone contribuisce al processo di autocoscienza che conduce alla legittimazione culturale della comunità nelle sue nuove dimensioni. Questo spiega perché talvolta una chiusura autoritaria subentri all’autorevolezza inclusiva.

In Germania per esempio esso si forma tra il 1830 e il 1870 nel periodo in cui la Prussia portava a termine l’unificazione degli stati tedeschi, e si richiedeva la creazione e il rafforzamento di un’identità nazionale (P.U.Hohendal, Building a National Literature: The Case of Germany 1830-1870, 1989). Il canone veniva allora istituzionalizzato con la creazione di una nuova disciplina, intitolata “Germanistik”, che sarà poi la Filologia Germanica. In Inghilterra la creazione di una sfera pubblica di discussione nel ‘700 diffonde i valori della nuova borghesia alleata all’aristocrazia imprenditrice, compresi i valori letterari, e più tardi, in un periodo di maggiore incertezza e conflittualità politica e quindi culturale come la seconda metà dell’800, Matthew Arnold istituzionalizza a sua volta il canone letterario attraverso l’insegnamento della Letteratura Inglese nelle università. In Italia nell’800 un nuovo canone letterario, con un’impronta “risorgimentale”, si aggiunge e si sovrappone a quello già in auge in riferimento alla formazione della lingua, con Dante, Petrarca e Boccaccio. I nuovi autori sono Leopardi, Foscolo, Manzoni, ma anche Berchet, Nievo, D’Azeglio e altri, e naturalmente Verdi, le cui opere in musica compensano l’esilità della produzione narrativa del secolo.

Il fatto che il canone si stabilisca spesso parallelamente al formarsi delle discipline scolastiche implica che la sua istituzione è anche, e insieme, una scelta della concezione stessa di letteratura e dei suoi usi. In particolare la sua funzione pedagogica, che era infatti tipica anche del concetto di “classico” come modello ed esempio da imitare, apre la questione dei valori politici e morali, prima ancora che estetici, ma tutt’uno con essi, che la letteratura serve a trasmettere nel periodo della formazione dei giovani e dei cittadini. La canonizzazione, come dice il termine stesso, è un’elevazione agli altari, che comporta il pericolo di staccare le opere dall’esperienza diretta e immediata, per trasferirle in una dimensione ideale, dove si tende a universalizzare il loro senso, ma anche ad assuefarsi alla loro originalità, ad attenuarne le asperità antagonistiche, e quindi a de-storicizzare la loro realtà.

Una lettura che voglia mantenere i legami dell’opera canonizzata con la Storia deve ormai porla in almeno tre prospettive: ciò che l’opera poteva significare nell’epoca del suo autore, ciò che significa ora per noi, e ciò che significava quando è entrata a far parte del canone. Una considerazione contrastiva di questo tipo si presta come esempio concreto di riattualizzazione semiotica e di storia letteraria.  E per quanto attiene ai valori pedagogici, gli insegnanti e i critici possono assumere un atteggiamento “collaborativo”, che tende cioè a trovare in ogni opera, come ovviamente è possibile, motivi di liberazione e di emancipazione umana. Oppure ad assumersi un compito di demistificazione che, come vedremo, tende a smascherare il potere che sempre si cela sotto l’apparenza della bellezza e del piacere estetico.

Un altro effetto controproducente dell’imposizione scolastica del canone risulta dal fatto che, nella società di massa, l’influenza di un’informazione massmediatica e multimediale, facile da assimilare per la vacuità dei contenuti, per il bombardamento ripetitivo dei moduli, per l’attrazione audiovisiva dei mezzi e l’impostazione ludica della fruizione, faccia apparire per contrasto troppo difficile, troppo seria e anche noiosa la letteratura pura e semplice, fatta soltanto di parole, da leggere in una sorta di clausura o ritiro spirituale, ovvero in una situazione del tutto priva della natura di “evento” e del chiasso con cui sembra ormai necessario avvolgere anche i fenomeni culturali per suscitare un minimo di interesse pubblico.

Nel nostro paese il tentativo di rimediare a questi rischi, oltre alle letture pubbliche dei monumenti letterari della patria, è dato dai vari Festival di Letteratura, che si tengono di solito tra la fine dell’estate e l’inizio d’autunno, per coniugare turismo e divismo. Gli autori, soprattutto stranieri ed esotici, vengono offerti “in persona” ai turisti della cultura, a leggere in originale brani che il pubblico non può capire, per la scarsa dimestichezza degli italiani con le lingue straniere. Ma non importa, se questo comunque permette uno smercio di libri che si spera poi saranno letti in condizioni più opportune. Oppure forse questi lettori resteranno per sempre vittime di una mentalità contaminata da esibizionismo, divismo e biografismo.

Nel farsi, disfarsi e rifarsi del canone, accade però anche un altro fenomeno, e precisamente la formazione di un anti-canone, costituito da quegli artisti e scrittori che, esclusi dalla cultura egemone, vengono comunque coltivati da minoranze, con valori sociali e intenti culturali alternativi. In Italia, emarginate dal canone “risorgimentale”, una sorta di anti-canone è costituito da quelle opere che non sono in consonanza con gli ideali unitari della nazione, per esempio I Malavoglia di Verga, I Viceré di De Roberto. In Francia già nel 1863 è addirittura Napoleone III che autorizza l’apertura di un “Salon des Réfusés”, dove trovano asilo le opere dei pittori impressionisti rifiutate al Palais des Beaux Arts. Tra il decadentismo di fine ‘800 e il modernismo del primo ‘900, ovvero con le avanguardie storiche,  avviene che si formi un canone dell’anti-canone. Questo perché il carattere dell’avanguardia consiste nella ricorrente negazione, da parte di ogni nuova generazione, del canone e delle poetiche della generazione precedente. In Italia è esemplare in questo senso il Futurismo, ma in Europa in generale, nelle lettere e nelle arti, un atteggiamento agonistico e antagonistico è parte integrante delle teorie moderniste.

Le ultime diatribe sul canone si sono verificate nelle università inglesi e americane negli anni ’80 del secolo scorso, quando una nuova generazione di insegnanti, cresciuta nel clima delle contestazioni studentesche, del femminismo e delle rivendicazioni delle minoranze etniche e sessuali, ha cominciato a proporre la sostituzione di opere e autori, inseriti tradizionalmente nelle “reading list” delle varie discipline letterarie, con opere ritenute più significative alla luce di quelle trasformazioni culturali. Poiché tali sostituzioni apparivano dichiaratamente motivate da interessi di appartenenza etnica, di genere sessuale, di orientamento politico, i tradizionalisti rivendicavano il criterio del valore letterario del canone, a loro dire indipendente e al di sopra delle origini culturali. Da un lato è facile obiettare che il valore letterario è un criterio che certamente era stato applicato nel canone della tradizione, ma solo all’interno di un’area che comprendeva prevalentemente gli autori maschi, bianchi, di classe sociale elevata e di origine anglosassone. Dall’altro questa discussione poneva in evidenza che i criteri di eccellenza, che determinano la scelta dei “classici” che finiscono per far parte del canone, affondano le loro radici appunto nei valori etnici, politici, di genere e di classe che costituiscono una base pregiudiziale rispetto ai valori propriamente letterari, oltre che una componente tematica fondamentale di essi.

Così come l’istituzione di un canone implicava, come abbiamo visto, la sua istituzionalizzazione in un disciplina scolastica o accademica, ora la crisi del canone rischia di produrre la destituzione (per ora soltanto ipotetica) dell’insegnamento di Letteratura Americana. Nel dibattito degli ultimi anni si è infatti concretizzata una tendenza parallela alla dissoluzione del concetto ideale e politico del “melting pot”, ovvero di quell’idea di fondo nella formazione degli Stati Uniti come “Unione” (tra l’altro vincendo la Guerra di “Secessione”), secondo cui, in una nazione formatasi dall’accumulo di una serie innumerevole di immigrazioni da tutti i paesi d’Europa e del mondo, la forza di coesione “federale” deriva proprio dalla sua capacità, che diventa quindi un imperativo, di assimilare, come in un crogiolo, i più vari apporti in un unico speciale agglomerato.

Le rivendicazioni delle varie etnie, soprattutto di provenienza extraeuropee: africane, ispaniche d’America, indiane, cinesi e altre orientali, in aggiunta a quelle dei nativi superstiti del genocidio, ha messo in evidenza il fatto che ciò che va normalmente sotto il nome di Letteratura Americana sia in realtà sostanzialmente la letteratura del nucleo delle tredici colonie originarie della Gran Bretagna che ratificarono la Costituzione, e in particolare la letteratura del  New England, che infatti ha dato i grandi classici del cosiddetto Rinascimento Americano.

La nuova presa di coscienza delle altre componenti etniche non porta più a rivendicare l’inclusione nel canone degli scrittori di altra etnia, come era successo per gli ebrei e gli afro-americani degli Anni ’60; porta bensì alla dissoluzione della disciplina stessa. Porta all’idea che in realtà ciò che passa sotto il titolo di Letteratura Americana è solo la Letteratura Anglo-Americana, che dovrebbe essere perciò affiancata da insegnamenti di Letteratura Sino-Americana, Nativo-Americana, Ispano-Statunitense, Caraibico-Americana, Italo-Americana, Americana del Pacifico, e così via. Si vede quindi che la frantumazione del canone prefigura la frantumazione istituzionale. Naturalmente tutte queste letterature possono confluire negli “American Studies”, dove però la letteratura non ha più alcuna preminenza e, nell’insieme di tutte le discipline che riguardano gli Stati Uniti, finisce per svolgere un ruolo limitato o rimanerne snaturata.

Infatti se questo processo dissolutivo per ora è soltanto ipotetico, un altro tipo di riforma del canone non riguarda più solo il corpus di opere letterarie che vi vengono accolte, ma la natura stessa delle discipline letterarie e del campo di interessi in cui la letteratura viene assorbita, perdendo  la sua specificità e il suo privilegio estetico. Infatti si formano ambiti di ricerca e un corpus di nozioni e saperi che usurpano gran parte dei compiti finora assegnati alla letteratura. Si tratta appunto dei Cultural Studies, dei Women’s Studies, degli Afro-American Studies, Queer Studies (ora LGBT Studies) ecc. La formazione di queste discipline è la conseguenza del fatto che il canone letterario era messo in discussione per dei motivi e per delle esigenze di politica culturale che non era nella possibilità della teoria letteraria di soddisfare.

Ripiegata sulla propria autoriflessività, la letteratura modernista e postmodernista era impegnata a comprendere l’orizzonte epistemico delle sue tecniche e la condivisione di tale orizzonte con tutte le altre opzioni ed economie espressive della comunicazione. È probabile che una volta riconosciuta ed emancipata l’identità delle varie istanze minoritarie, l’universo della comunicazione torni ad essere l’interesse principale di un sapere tecnologicamente interculturale globalizzato.

In conclusione è inoltre opportuno, in epoche di globalizzazione, ma anche di conformismo, trasformismo e sincretismo diffusi, incoraggiare i lettori a rivendicare i diritti del gusto personale, per partecipare attivamente al processo di formazione dell’ambiente culturale di cui si fa parte. Tutti abbiamo degli scrittori preferiti (e artisti e musicisti e registi e disegnatori di fumetti e quant’altro) che hanno inciso maggiormente nella nostra formazione. È giusto sostenere “il proprio canone” e la propria esperienza di lettura, in primo luogo perché è un fatto reale che non va ignorato, ma anche perché da un lato è una testimonianza di un grado di acculturazione, e dall’altro perché in questo modo le scelte possono essere messe in questione. Il lettore deve avere il coraggio di non farsi imporre un conformismo del canone o peggio delle mode, e viceversa avere la modestia e la curiosità necessarie a non chiudersi nelle proprie idiosincrasie. Discutere le deviazioni dal canone sostenendo le ragioni del proprio gusto diventa un momento di autocoscienza che, anche laddove confermi le imposizioni dell’industria culturale, è un atto di delucidazione collettiva autenticamente democratico. È uno dei modi per accrescere la propria informazione letteraria e la propria competenza estetica. Si applica così quella norma di etica dell’estetica che impone non solo di interrogarsi sui motivi dei propri gusti, ma soprattutto di chiedersi quali sono le ragioni per cui altri apprezzano ciò che invece a noi non piace.

 

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