Tre secoli in barca, per non parlar di Heidegger.

Ihab Drei 1996Ihab Drei, Realismo, Modernismo, Postmodernismo, 1996

Per ragioni didattiche stavo riepilogando sommariamente i contenuti dell’ironia romantica e mi sono lasciato trasportare dall’impulso a fanta-schematizzare la storia culturale degli ultimi tre secoli.

L’ironia romantica consiste nell’atteggiamento di superiorità rispetto a se stessi e alla propria opera (sia artistica che di altro tipo, cioè tutta la vita), che deriva dal fatto di essere consapevoli della propria finitudine, della propria limitatezza, della propria separatezza dal mondo (leggi potere), e dunque dell’impossibilità di conoscere il mondo o di essere tutt’uno con esso, inteso a sua volta come una totalità, abreata dai romantici col termine “infinito”.

È come se ci fossero due personalità, una reale che ha tutti i suoi limiti, e una ironica o ideale che, per il fatto di avere coscienza di tali limiti, li trascende in qualche modo, non chiaro a dire il vero. Questa consapevolezza o ironia ottenuta dalla riflessione (nel senso che il soggetto osserva se stesso) è considerata un processo senza fine da Schlegel, mentre Hegel pensa ad una sintesi positiva ed emancipante (che però coincide con l’esistente storico), e perciò considera quella di Schlegel una “cattiva infinità”. Lo storicismo di Hegel è una sorta di positivismo (sento già le urla degli specialisti); l’ironia romantica si allinea invece al nomadismo e al decostruzionismo (cioè la filosofia come gioco che permette di stare dentro e fuori, contraddicendosi a man salva) come processo senza fine e senza sbocco.

Questa ironia romantica la chiamerei ontologica, a differenza di quella Socratica che chiamerei ermeneutica, perché si propone di giungere ad un compimento conoscitivo. Ovviamente ciò che manca ai romantici è il potere. Impossibilitati come intellettuali ad ottenerlo coi metodi della razionalità, inventano la dimensione visionaria che proietta la presa possibile del potere nel futuro indefinibile.

La separazione della poesia dalla filosofia e dalla scienza permette di individuare in essa l’ambito privilegiato dove prefigurare il raggiungimento dell’infinito. L’ironia relativa all’opera artistica consiste perciò nel capire che la poesia è vana sul piano concreto, appunto perché immaginazione (finzione) e non storia. L’assoluto estetico viene concepito come una modalità conoscitiva, ma è una modalità “sentimentale”, vale a dire una proiezione del desiderio, che ha una radice “realistica” nella facoltà di immaginare, propria di ogni prassi progettuale, che in questo caso viene però  magnificata in dimensioni trascendentali. Il romanticismo non è una reazione anti-aristocratica bensì anti-borghese. Il nuovo mondo che l’artista romantico prefigura, in realtà non è prefigurato affatto, se non in termini di poetica. È insomma un modo di fare arte, non di fare mondo. Solo in Inghilterra esso appare molto meno trascendentale e più domestico, e persino concretamente artigianale, con William Morris e i preraffaelliti.

L’ontologizzazione di un meccanismo retorico come l’ironia si adatta a figurare la doppia visione, in parte come l’ossimoro e la litote: si presenta una dichiarazione e sullo sfondo si rimanda comunque al suo opposto. Fra essere e divenire l’illuminismo rimuove l’essere delle certezze aristocratiche, che sono privilegi, e propone il raggiungimento di una nuova e diversa stabilità, in funzione dell’economia borghese. Il romanticismo privilegia invece il divenire verso l’assoluto irraggiungibile, perché incarna la delusione degli intellettuali emarginati, ormai non più necessari alla nuova classe dominante, e dunque alla ricerca di ciò che nel presente non possono raggiungere.

Se tutte le fasi contengono sia il divenire sia l’essere, qual è l’essere dei romantici? È la fede nelle capacità dell’uomo di trascendersi, e in un certo senso stabilizza il divenire nella disponibilità a impegnarsi ed essere generosi di sé. Lo àncora però al senso del luogo e al nazionalismo. Il superuomo tende a porsi al di sopra degli altri: la sua aspirazione diventa antidemocratica, nasce il culto dell’eroe (Carlyle), contaminato poi dai sintomi della spettacolarizzazione e del kitsch, ammirati dalle masse: dal dandy al playboy, dal flaneur allo snob, dalla femme fatale alla star.

L’ironia modernista, con riferimento a Pound, Eliot e altri, è anch’essa una consapevolezza, ma sostituisce la passione romantica, che è generosa (alla Ahab), con una sterilità che è affine al disprezzo di sé. La finitudine per i romantici è debolezza politica, mancanza di potere, per i modernisti è una malattia della civiltà esangue. Vale dunque anche per il potere e non solo per gli intellettuali disarmati. C’è un sado-masochismo che evidenzia la futilità e l’isolamento, non dal potere, sebbene anche da quello, ma dalle sorgenti di energia umanistica, e porta all’auto-disprezzo in modo demoralizzante e anti-emotivo (Prufrock, Waste Land).

Il modernista contempla la propria confusione e debolezza egoica. Il romantico investe la passione in un futuro visionario, cioè continua a credere di essere il vero legislatore dell’umanità, anche se gli altri non se ne accorgono. Pensa che qualche forza umana, biologica e/o culturale sia ineliminabile, anche se ora non comanda, ma può solo continuare ad operare in clandestinità, come una resistenza che prima o poi vincerà. Quello di cui il romantico non vuole accorgersi è che invece il potere va avanti, si impadronirà dei mezzi di comunicazione moderni, come la stampa popolare, la pubblicità, la radio, poi il cinema, di fronte ai quali la poesia e la letteratura sono patetiche e senza effetto.

Il modernista non ha questa speranza appunto perché capisce meglio la situazione. La sua malattia contamina proprio la sistematicità biologico-culturale dell’uomo. È quello che poi i post-modernisti cercheranno nelle sistematicità della significazione e che riassumeranno nel termine “metafisica”. Mentre i romantici perdono il potere politico, i post-modernisti perdono il potere simbolico. I romantici perdono il potere, i modernisti, oltre al potere, perdono anche la forza, l’energia, e i post-modernisti perdono infine anche la parola e il significato. Il romantico vede il male del mondo, il modernista vede il male nell’uomo, il postmodernista vede il male nella simbolicità del sapere.

L’ambito del male si restringe e si allarga allo stesso tempo. I romantici si rifugiano nell’arte, i modernisti nella coscienza, i post-modernisti si rifugiano nell’ironia stessa. I romantici si arrabbiano, i modernisti si demoralizzano, i post-modernisti si euforizzano di cinismo e in sostanza accettano l’apocalissi: sono a loro volta superuomini che si suicidano in quanto uomini puri e semplici, per trasferirsi nel futuro virtuale post-umano (vedi Neuromancer, di William Gibson, da cui Matrix). La controparte materialistica e sociologica è l’industrializzazione per i romantici, il capitalismo finanziario per i modernisti, la rivoluzione informatica per i post-modernisti. L’industrializzazione schiavizza l’uomo, la finanza lo dissolve, l’informatica lo sostituisce con le protesi elettroniche.

Leonardo Terzo.