Cronaca e arte, valori ed egemonie, originalità e riproducibilità.

Biking in Pavia 2bLeonardo Terzo, Biking in Pavia, 2006

Cronaca e arte

C’è il ritocco della fotografia che possiamo definire innocente, per renderla semplicemente più visibile, e c’è il ritocco in malafede per produrre un falso, architettato e non fotografato. L’arte è finzione, perciò la finzione può essere falso oppure arte. Il falso è un intervento nascosto, l’arte è un intervento esibito.
Ricordiamo il film di Alberto Sordi, che visita una mostra con la moglie. La moglie stanca si siede su un poltrona nell’angolo della sala e si addormenta. Poi apre gli occhi e si accorge che si è formato un gruppo si spettatori davanti a lei che la guarda come un’opera esposta. Infatti era già successo che molti artisti avevano messo in mostra delle persone sedute su una poltrona come opere d’arte. Uno aveva fatto scandalo perché era un ragazzo down, e l’autore fu accusato di esibire un malato per i suoi scopi mercantili.

Naturalmente lo sguardo artistico può rivolgersi anche agli oggetti etnografici, e il design è appunto un’arte applicata, applicata agli strumenti della vita quotidiana. Tutte le arti applicate sono allo stesso tempo oggetti d’uso e opere d’arte. Per esempio i mobili e gli arredi in stile. Anche qui ci sono gradazioni: una sedia è prima un oggetto d’uso anche se in uno stile apprezzabile. Un arazzo è più un’opera d’arte, anche se viene usato per l’arredamento. Del resto tutte le opere d’arte in case private diventano parte dell’arredamento.

Dalla pubblicità ai videogiochi, e risalendo indietro agli arredi di William Morris e dei preraffaelliti, questi rapporti ci sono sempre stati, ed è curioso che l’argomento è stato rimesso in discussione con la fotografia. Ma credo che ciò sia dovuto al fatto che è sempre stato più facile mettere un’opera d’arte al servizio pratico che un oggetto etnografico in un museo come arte.

bresson-riduzCartier-Bresson, Sinai.

Valori ed egemonie

La questione del valore o dei valori è controversa, ma ha avuto un andamento rintracciabile dal momento del crollo della concezione del mondo pre-moderna e medievale, fondata sulla religione, e quindi alla diffusione lenta, ma graduale e affollata di conflitti, in tutti gli altri campi, dalle scienze all’etica, per finire alle arti, buon ultime perché meno rilevanti e più “sovrastrutturali”.

La fine dei sistemi egemonici stabili e assoluti o quasi ha portato alla frantumazione dei poteri, che si sono moltiplicati  e ridotti in ambiti e zone sempre più ristretti, fino ai contemporanei lamenti per la fine delle certezze d’ogni tipo, per la fine della polis, per la fine della critica nelle arti e ora anche per l’anarchia derivante dalla disponibilità della rete telematica a dar voce a tutti.

L’esercizio del potere continua peraltro  attraverso il possesso di grandi organismi economici multinazionali e sovranazionali, ma, come indicava Gramsci le egemonie si devono rinegoziare ogni giorno, e la coscienza democratica si diffonde a fatica, ma attraversa, sebbene ancora in parte in relativa sordina, tutto quel coacervo di entità istituzionalizzate o spontanee che possiamo chiamare col neologismo: globalizzazione.

Resta il fatto che di fronte a tali accadimenti le reazioni sono ancora di rimpianto per le antiche certezze, oltre all’imposizione di egemonie parziali, per esempio in quelle che Stanley Fish chiama “comunità interpretative”, oppure euforiche celebrazioni per i frammenti di libertà e presenza sulle varie ribalte della comunicazione.

Si è perciò divisi tra il disdoro per la volgarità inevitabile degli strati più bassi di educazione e di conoscenza, per lo scatenamento aggressivo degli insulti in luogo dei pareri ragionati, e l’accesso democratico alla comunicazioni per tante buone cause che prima non riuscivano a far sentire le loro ragioni. Le arti peraltro, appunto per la natura della loro funzione, più debole di quella degli altri campi, paiono più libere, ovvero anarchiche.

Ognuno giustamente difende le sue scelte e i suoi gusti, e quindi anche col diritto di lamento per l’eventuale incomprensione generale dei propri punti di vista. L’unico appunto che si può fare a chi lamenta l’incomprensione altrui, consiste nel raccomandare la pazienza, e soprattutto la costanza nel sostenere i propri valori col dialogo e la spiegazione, per cercare di convincere senza supponenza e senza insultare. Non si può mai pretendere di dominare la scena, anche perché non sarebbe utile.

Sinai, da BressonLeonardo Terzo, Sinai, 1956 circa.

Originalità e riproducibilità

Il segreto del successo della fotografia non è solo la sua riproducibilità, ma il fatto che ogni scatto di necessità è diverso dall’altro, perché il mondo cambia anche un solo secondo dopo. Il fotografo, dilettante o professionista, non può riprendere la stessa identica realtà due volte: volente o nolente è costretto ad essere originale. Questo non vuol dire che ogni fotografia è bella ma, in un mondo che ancora ipotizza il valore dell’originalità, ogni fotografia è per lo meno interessante. La nuova aura cultuale della fotografia è dunque quella di una nuova unicità: l’unicità del vero, non una volta per sempre, ma una volta e mai più. Come aveva inconsciamente, ma neanche tanto, anticipato Faust, la fotografia cattura l’attimo fuggente, ovvero tutto ciò che non c’è più. Come si sa, è ciò che spingeva gli antichi egizi a fare le mummie.

Tuttavia, poiché lo sviluppo tecnico si è accelerato fortemente negli ultimi decenni, alcuni ritengono che le varie “estetiche del mezzo”, o lo “specifico” delle varie arti stesse, abbia perso di importanza e di significato, perché effimero e in continua evoluzione, il che indurrebbe gli artisti a cercare di dire di nuovo qualcosa sul mondo. Tutto è possibile, naturalmente, ma a me pare che il mezzo sia ancora il significato che gli artisti cercano di capire, per decidere poi cosa farne.

18 t 0b5,5Hic Sunt Group, Ba, 2012

 

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