Sulla comprensione dell’arte e la metodologia scientifica.

 

6 sett  13 057

Leonardo Terzo, Paesaggio notturno con luna, 2013

Hippolyte Taine, tanto per fare un nome, riteneva si dovesse e si potesse applicare alla comprensione delle opere d’arte una metodologia scientifica. E in linea di principio ciò sembra un’idea plausibile se non auspicabile. Ma vediamo in concreto in cosa consisterebbe.

Le opere d’arte, come del resto anche tanti altri manufatti pratici e prodotti intellettuali (messaggi), hanno più dimensioni che a loro volta hanno una natura varia. Consideriamo come prototipo un testo poetico. Esso è costituito da significante e significato, la cui natura è peculiare, in quanto nell’opera d’arte la loro inscindibilità, al fine di ottenere l’effetto inteso, rende molto parziale, se non inefficace, la loro separazione, seppure solamente euristica come avviene per i messaggi non estetici.

Procediamo comunque ad una prima simulazione. Il significante è infatti a disposizione per una misurazione scientifica delle quantità e qualità sonore. Per esempio possiamo descrivere con precisione i fonemi, le accentuazioni prosodiche, le quantità metriche, le ricorrenze e la loro collocazione in forma di allitterazioni, rime ecc. Ciò permette di configurare delle strutture sonore, come musica senza parole a prescindere dal significato.

A titolo esemplificativo elementare: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle” ha una struttura ritmica così indicabile:

 Semprecà    romifù   quest’èr     mocòlle

Tatatà          tatatà     tatà            tatàta

  – – ‘             – – ‘        – ‘              – ‘ –

Questa struttura ritmica si percepisce con l’udito e va giudicata per la sua capacità di organizzare il suono. Tale organizzazione deve essere poi a sua volta giudicata: qual è la sua efficacia sui sensi? È dolce o piacevole, o euforizzante, o aspra per esempio?

Possiamo dire che comunque il suono risulta organizzato e non casuale, e quindi questo fatto può essere apprezzato in quanto organizzazione in sé. Ciò che si apprezza è un certo ordine: i suoni vengono percepiti come coordinati in una struttura. Perché si apprezza l’ordine e non il disordine? Perché l’ordine implica un intervento ordinatore del poeta, cioè una padronanza che è l’espressione di una capacità e volontà di dominio sulla materia fonica.

Questa capacità è una proprietà umana. Quindi si percepisce l’intervento dell’uomo, ovvero un sintomo culturale, cioè uno dei tanti modi di usare la materia della natura a fini umani. Inoltre la materia fonica è fornita dalle parole della lingua, che è già un prodotto umano, ma la scelta dei vocaboli, ancora prima di analizzare il loro significato, sembra fatta con un intento musicale o armonico che seleziona tratti della lingua per fini che si presuppongono specifici. Già comunque il giudizio apprezzativo può variare, ma dal punto di vista descrittivo del ritmo si può dire che l’analisi è scientifica.

Se passiamo però alla individuazione del significato, ogni parola, da “Sempre” fino a “colle”, ha uno spettro semantico amplissimo, all’interno del quale l’ascoltatore o il lettore può selezionare arbitrariamente una parte di significato che egli ritiene più confacente. Ma confacente anche a cose diverse: per esempio ad un senso letterale e ad un senso figurato, ad un senso relativo al contesto delle altre parole o di alcune di esse.

Ma il lettore informato, cosciente di trovarsi di fronte ad una poesia, sa che questa gamma di possibilità semantiche non è offerta dal testo per essere ridotta da una scelta, come si fa coi messaggi referenziali, al contrario deve essere contemplata nella sua varietà possibile, perché questo è l’intento del genere lirico e della funzione poetica.

Perciò “Sempre” indica la vita del poeta fino a quel momento e le sue inclinazioni e abitudini meditative e contemplative, ma anche un’abitudine estendibile alla condivisione del lettore, che invece ha avuto una vita e un’esperienza diversa o simile, a cui però l’esperienza del poeta offre di sovrapporsi, o indica una disposizione generale dell’umanità in tutti i tempi e in tutti i luoghi, passati presenti e futuri, che qui si realizza esemplarmente.

Lo stesso discorso sullo spettro semantico si può fare per “caro” e tutte le altre singole parole, e poi per gli accoppiamenti e gruppi di parole, e infine per le relazioni e le ridondanze di tutte le parole del sonetto in tutta la sua strutturazione prosodica e ritmica.

In questa elaborazione interpretativa, ad un livello elementare o ad un livello di totalità semantica perseguibile, siamo però rimasti ancora alla superficie del testo stesso, avendo probabilmente già alluso a tutta una serie di rimandi oltre il testo, cioè contestuali, che il testo però ha importato inevitabilmente, traendoli dal vocabolario della lingua italiana, ma anche dall’enciclopedia del lettore. L’enciclopedia del lettore ha potenzialmente tutte le dimensioni del sapere contestualmente allargabili in tutte le direzioni: per esempio psicologiche, sociali, storiche, epistemologiche e ogni altra.

Ogni settore del sapere si offre come ambito ermeneutico speculare. Cioè è in grado di specchiarsi nel testo e vedere in esso per esempio un’inclinazione malinconica o un’aspirazione psicotica, una selezione di registro linguistico colto e aristocratico, una tensione estetica al sublime infinito tipica delle poetiche denominate “romantiche”, e altre.

Ma anche l’enciclopedia del lettore cambia, non solo da lettore a lettore, ma da un’epoca all’altra. Dobbiamo chiederci: ogni epoca perciò riattualizza la sua interpretazione con una consapevolezza accresciuta degli strumenti scientifici a disposizione, o semplicemente mette in gioco degli interessi culturali che si sovrappongono all’atteggiamento scientifico? Oppure tuttavia senza eliminarlo, ma solo riadattandolo? Cosa c’è o cosa rimane di scientifico nelle continue e differenti riletture? Cosa implica a questo punto l’atteggiamento che insista a porsi in una prospettiva scientifica?

Tale prospettiva probabilmente è da intendersi allora come capacità di coniugare, con rigore probatorio, la flessibilità semantica del testo, in modo da rispecchiare le varie personalità che lo interrogano sulla base di un’economia ermeneutica parallela all’economia espressiva.

Questo perché il testo poetico ha appunto una poetica, che consiste nel predisporsi alle auto-interrogazioni del lettore che lo usa come uno strumento di piacere e di auto-comprensione della sua condizione mondana nei confronti della sua cultura e della sua epoca.

La letteratura si pone allora come legame metodologico funzionale che collega varie prospettive culturali, cercando nel metodo delle precedenti relazioni tra testo e contesto, ovvero tra autore e lettore da una parte e mondo totale reperibile nelle enciclopedie dei lettori delle diverse epoche, un’omologia metodologica identificativa.

Così la letteratura è chiave di apertura metodologica all’ermeneutica delle culture. Io e i greci antichi siamo diversi ma ci specchiamo entrambi nella tragedia greca, attraverso la quale identifichiamo, nelle misure parziali di una consapevolezza possibile, il modo di riconoscere le identità.

Leonardo Terzo