Primitivismo e surrealismo

Magritte - luciMagritte, L’impero delle luci, 1954

Fra le avanguardie moderniste, i più influenzati dal primitivismo furono i surrealisti, perché lo consideravano qualcosa di arcaico e primordiale presente anche nell’uomo contemporaneo. Bastava solo farlo emergere allentando i controlli razionali ed esprimendosi in modo automatico. Leggi tutto “Primitivismo e surrealismo”

“Frostbitten” cioè “morsi dal gelo”

Conoscevo molti quadri di Andrew Wyeth (pronuncia endru uaith), anche se non sapevo nulla di lui. Oggi mi ha colpito questo in maniera fulminante. Il suo fascino sta nell’umiltà del soggetto, nella perfezione quasi fotografica del dettaglio, e infine nell’effetto di luce, naturalistico e insieme creativo.

Si tratta di quattro mele, abbandonate sul davanzale interno di una finestra, con un muro un po’ scalcinato, e anche il legno del davanzale è sbrecciato. Il luogo sembra abbandonato, come le mele, con due o tre foglie rinsecchite. Elementi vegetali ci sono anche immediatamente oltre la finestra, che a sua volta è fatta con un’intelaiatura incrociata tipicamente inglese e americana. Sono elementi secondari, ma collocano l’immagine in un contesto rurale e “geopolitico” riconoscibile: casa di campagna povera o abbandonata, negli Stati Uniti o in Inghilterra. L’abbandono significa “passato”. Morte persino. E qui entra la funzione dell’arte, che recupera il passato e ne costruisce il fascino, prima che muoia del tutto o davvero.

La rappresentazione naturalistica richiama l’influenza che la fotografia ha avuto, oltre e più che sulla precisione del dettaglio, che pure è importantissima, sulla scelta del soggetto da rappresentare, che la fotografia ha “abbassato” al particolare e ha reso più “democratica” nei ritratti delle persone o delle cose comuni.

La luce è sempre un fattore preminente in tutto ciò che è visivo, ma in altre situazioni, sebbene necessaria, passa inosservata. Qui invece è il fattore che recupera e salva i resti della vita, come pure della natura e del costrutto umano che è la casa e la finestra. Oltre i vetri si vedono solo rari sterpi, poi tutto il resto è bianco perché la luce ci investe entrando direttamente dall’alto.

 

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La lezione di Picasso: il primitivismo come esercizio

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Per Picasso, il maggior utilizzatore del primitivismo, quella scelta, secondo le sue dichiarazioni, ha un fine liberatorio: è il recupero della libertà dei sensi, disinibizione. Tuttavia è difficile dire se questo effetto si comunica allo stesso tempo e modo agli osservatori.

È la differenza tra l’artista e il fruitore, tra creare e osservare soltanto. Nonostante la cosiddetta “morte dell’autore”, la cui funzione si trasferirebbe al fruitore, il fruitore non diventa totalmente autore, perché ricrea l’opera in altro modo, con un’altra procedura. L’autore fa la sua esperienza “fattiva”, inventiva e libera. Il fruitore è legato al significante e alle forme che riceve. Può usarle per fini diversi da quelli per cui sono state prodotte e, anche se tutto sfuma in altre sensazioni e pensieri, resta in debito col messaggio ricevuto.

D’altra parte anche l’autore diventa subito il primo fruitore. Dal punto di vista estetico il risultato più apprezzabile di Picasso è di essere riuscito a sintetizzare una creatività primitiva e astratta (la spontaneità, la magia, l’energia sciamanica) senza perdere la riconoscibilità rappresentativa: egli trasporta e rivela un senso “originario” in immagini dove continuiamo a riconoscere, seppure deformata, una ritrattistica tradizionale.

Come per Bacon, seppure con altre motivazioni, la deformazione è appunto deviazione dalla formazione. Il senso sta nel riconoscere l’origine (finale, e tradizionale) e paragonare a contrasto l’effetto ottenuto con la deformazione (primitiva). Consapevole di questo, ogni fruitore non più ingenuo affronta le opere come esercizio di creatività “comparativa” personale.

E questo è il procedimento di ogni fruizione dell’arte modernista. Il modernismo è un’autoriflessione degli autori per capire cosa stanno facendo, come riescono a razionalizzare e mettere in forma le pulsioni creative, da qualsiasi parte provengano: dal passato primitivo i modernisti, come dal futuro virtuale i postmodernisti.

Per raggiungere la spontaneità, Picasso ha lavorato a Les Demoiselles d’Avignon per trent’anni, dal 1907 al 1937.

 

Valori, forme, e politica culturale


Leonardo Terzo, Munchausen Ball, 2015

Sul valore.
Il valore è un concetto che, costituzionalmente, consiste in una differenziazione di importanza tra le cose a cui si dà appunto valore e le cose a cui non se ne dà, o se ne dà di meno o di più. Se tutte le cose avessero lo stesso valore non ci sarebbe il valore stesso. Quindi il valore implica apprezzamento e disprezzo come categorie costitutive. Leggi tutto “Valori, forme, e politica culturale”

Primitivismo e avanguardie del ‘900

rituali antiindustriali contemporaneiLeonardo Terzo, Ritualità antiindustriale contemporanea, 2015

Il rapporto delle avanguardie del ‘900 col “primitivismo” consiste sostanzialmente nell’imitazione delle decorazioni e delle immagini delle popolazioni ritenute “primitive”, “tribali”, “selvagge”, “non civilizzate”, scientificamente e tecnologicamente non sviluppate, in primo luogo africane, ma anche dell’Oceania e dei nativi americani. La denotazione principale è relativa a qualcosa di primordiale e di conseguenza putativamente irrazionale, ingenuo e non sviluppato. Leggi tutto “Primitivismo e avanguardie del ‘900”

Metafore della politica culturale.

Nelle viscere di nuovi modi di produzioneLeonardo Terzo, Nelle viscere dei nuovi modi di produzione, Milano 2015

L’egemonia culturale tende ad apparire come universalità, radicata nella tradizione, e persino nella natura. Ma, a partire dal modernismo, cioè con le avanguardie, anche apparire alternativi e diversi può diventare un vantaggio, ed allora essere minoritari significa essere elitari. Specularmente, il risvolto negativo sarebbe che essere elitari comporta essere minoritari. E diventa importante la differenza della collocazione metaforica spaziale, tra una posizione elevata e una posizione marginale. Leggi tutto “Metafore della politica culturale.”

La diversità culturale e i problemi dell’arte

obnoxious-liberalsJean-Michel Basquiat, Obnoxious Liberals

Le diversità culturali di razza, sesso e classe sociale, producono ciascuna i propri valori e la propria estetica. Il problema è se tali diversità devono rimanere separate e fruire ciascuna della propria produzione estetica, oppure se devono cercare di amalgamarsi con le altre culture, apprezzando ciascuna le opere altrui, anche a causa della compresenza nelle stesse regioni e nazioni. Questi interrogativi appaiono ancor più attuali allorché il superamento tecnologico delle barriere trasforma gli ambienti geografici in spazi informativi. Leggi tutto “La diversità culturale e i problemi dell’arte”

Politica culturale: nasce prima l’artista o il suo pubblico?

La politica culturale è fatta da tutti, ma lo sforzo dei singoli è meno efficace dell’azione dei gruppi sociali e delle istituzioni che dei gruppi sono strumento attivo e concreto. Nelle società meno democratiche le istituzioni hanno precise direttive burocratiche che decidono le linee e le finalità della politica della cultura. Leggi tutto “Politica culturale: nasce prima l’artista o il suo pubblico?”

Sociologia dell’arte 5. Stemmi, divise, maschere, livree, graffiti, brand.

 banksy33-1Banksy Graffiti

Poiché tutte le poetiche hanno sia l’intento introverso (evidenziare la forma) che quello estroverso (parlare del mondo), di volta in volta privilegiando l’uno o l’altro, anche l’arte per l’arte, programmaticamente introversa, ha lo scopo “estrinseco” di concentrare l’attenzione sul funzionamento interno dei suoi elementi formali.

Le arti applicate invece sono di necessità estroverse e si sono sempre materializzate, oltre che in architettura e videogiochi, in stemmi, divise, maschere, livree, brand.

Un tipo di arte in cui i due interessi convergono è l’arte ornamentale, che non rappresenta esplicitamente il mondo e la realtà, ma ha un’infinità di forme che finiscono per significare qualcosa, pur essendo solo motivi ornamentali.

Civiltà diverse producono ornamenti che possono significare sia qualcosa legato alla forma in sé, sia al fatto che storicamente appartengono a periodi e civiltà determinate. Questa appartenenza finisce per diventare un significato e un interesse, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista formale.

Il fatto che figurazioni e motivi di altre culture siano stati adottati dalle avanguardie europee in vari periodi significa che hanno assunto un’intenzionalità, autentica o falsata, traslata o fantasticata, vuoi di spaesamento o di cooptazione.

Per quanto spesso fraintese, queste forme sono diventate parte della storia europea, perché l’artista occidentale, come la sua società, si arroga il diritto di privilegiare la destinazione e l’uso rispetto alle origini. (Si potrebbe considerare un’espressione, da sempre in atto, della “differanza” derridiana, ovvero del rinvio al significato che gli attribuirà il prossimo fruitore.)

Anche l’arte ornamentale, come elaborazione tecnica difficile, preziosa ed elitaria, acquista di solito la funzione celebrativa ed ostensiva del potere. L’ornamento rende prezioso anche l’utensile a cui vien applicato, così ciò che sarebbe in sé un modo dell’arte formale, non rappresentativa e introversa, entra nel mondo, subordinando il suo formalismo all’oggetto etnografico.

I graffiti invece sono da sempre una tecnica tendenzialmente povera, che ben si presta ad un’arte di protesta e di opposizione. Banksy ne è il massimo esponente attuale, ma l’aggressività dei graffiti contemporanei spesso si manifesta di proposito come modo di sfigurare l’aspetto consueto delle superfici su cui vengono impressi. Sono lo scherno e il lamento dell’incompreso.

Anonimo

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Sociologia dell’arte 4. Il fatto estetico come categoria etnografica.

L’opera d’arte è un messaggio peculiare, che definiamo estetico e che ha due livelli. Il primo è il suo contenuto, per esempio l’ultima cena di Gesù con gli apostoli. Questo primo livello è caratterizzato dalla iperfunzionalità delle sue componenti, perché, come abbiamo detto, ogni elemento dell’opera è organicamente in rapporto a tutti gli altri, e questo è il modo di funzionare proprio dell’arte. Il secondo è il fatto che, accanto e insieme alla produzione di tutto ciò che gli uomini producono, che chiamiamo oggetti etnografici, ci sono anche le opere d’arte. Leggi tutto “Sociologia dell’arte 4. Il fatto estetico come categoria etnografica.”

Sociologia dell’arte 3. Dov’è il sociale nell’Infinito di Leopardi?

infhrL’opera d’arte, come messaggio, è fatta di significato e significante. Il significato è ciò che il messaggio vuole dire, e il significante sono i mezzi materiali con cui si dice. Quindi l’arte è fondata su un qualcosa di materiale, ma a differenza dei messaggi non artistici, in cui il materiale o significante può cambiare mentre il significato rimane lo stesso, significante e significato sono inscindibili, e se si cambia il significante (cioè il materiale, la forma), il significato non è più lo stesso.

Per esempio, perché “Quest’ermo colle mi fu sempre caro” è diverso da “Sempre caro mi fu quest’ermo colle”? Perché il ritmo della seconda versione fa parte della musica verbale che in una poesia è essenziale per aggiungere al significato della prima versione il fascino incantatorio che ci avvince al significato stesso. La musica ha il senso e fa l’effetto della musica.

Alla fine de L’infinito di Leopardi abbiamo vissuto, e non soltanto capito, il senso dell’aspirazione all’oltrepassamento dei limiti. Questi limiti possono essere i limiti del dicibile spinto verso qualcosa che diventa la cristallizzazione di ogni aspirazione umana. Ma che nel caso del periodo romantico io individuo “sociologicamente” nell’isolamento degli intellettuali (che erano stati artefici dell’illuminismo e sostenitori della visione del mondo borghese contro i resti dell’aristocrazia), quando la borghesia ha ormai conquistato il potere e non ha più bisogno di loro.

Gli intellettuali critici e militanti, consapevoli o meno, perdono così la loro funzione e ogni legame col potere e proiettano, in una aspirazione visionaria a qualcosa di “infinito” rispetto al finito presente, il senso della loro funzione, perseguibile e identificabile ora con la loro arte (per l’arte).