Sul rapporto tra immagine e parola, nel fotogiornalismo e altrove.

bambino sirianoSi può argomentare secondo il presupposto che l’immagine sia più oggettiva e quindi veritiera, mentre la parola sia “intenzionata” da una tesi, o da un’ideologia, persino inconsapevole, di chi la usa, e quindi meno oggettiva e veritiera. Ma anche l’immagine è stata scelta con un’intenzionalità, e non per caso.

L’immagine è sempre più oggettiva, ma meno significativa, cioè non è sempre veramente chiaro di che si tratti. Sia che ciò dipenda dalla poca chiarezza “tecnica”, sia che invece dipenda da un’oggettiva “povertà” argomentativa del “visibile” (che rappresenta, ma non dice), resta il fatto che immagine e parola, nel fotogiornalismo, hanno lo stesso intento di fare cronaca. Bisogna comunque partire dal presupposto che tutti i mezzi collaborino per comunicare. In questa collaborazione si può distinguere l’apporto di ogni mezzo.

L’immagine mostra una grande quantità di particolari, anche non necessari alla dimostrazione argomentativa della notizia in questione, ma certamente comunque con un carico informativo che attiene al reale (quasi globale, ma non del tutto, perché anche l’immagine ha un’inquadratura che sceglie il lato visibile), dove non tutto è egualmente interessante. La parola della didascalia, invece e infatti, sceglie di sottolineare gli aspetti che interessano alla tesi del giornalista, scarnificando l’immagine per indicare e riportare ciò che si ritiene necessario alla notizia. La didascalia dice all’occhio cosa vedere.

Quanto all’interpretazione, in assoluto potremmo considerare (statutariamente) ogni immagine una “macchia di Rorschach”. Cioè tutto sarebbe sempre soggetto a interpretazione, e quindi condizionato, suo malgrado, da chi interpreta. È il dibattito intorno alla nascita e all’utilità della fenomenologia. Ma ciò è evidente in filosofia e non nel giornalismo di cronaca. La cronaca presuppone sempre di che si tratta, e infatti cerca di mostrarlo al destinatario, perché ritiene che gli interessi.

Nel fotogiornalismo (ma forse sempre) l’immagine è uno spettacolo che enfatizza un appagamento sensoriale, accanto all’appagamento informativo intellettuale.

Il rapporto tra immagine e parola delle didascalie si può estendere ai titoli dei quadri, e in genere nel paratesto dei libri. Ma ieri, 26 settembre 2015, a Pavia si è inaugurata una mostra del pittore Gigi Viciani, che è un’autobiografia fatta coi suoi ricordi. Ogni quadro rappresenta un momento del suo passato, e di necessità ciò che si vede, ed è pure evidente, viene ampliato e spiegato in una didascalia di tipo narrativo.

L’immagine del quadro è ciò che si vede, ma ciò che viene raccontato integra l’immagine, sia trasfigurando sentimentalmente ciò che si vede, per cui lo vediamo in modo diverso che se non avessimo letto la didascalia, sia aggiungendo alla forma tecnica del disegno e del colore qualcosa che non è propriamente tecnico eppure lo diventa,

La comunicazione è sempre multimediale. In genere, però, in tutte le occasioni uno dei due mezzi è il principale e l’altro è il complemento, anche se i ruoli possono alternarsi o capovolgersi. Le immagini delle vittime di un delitto sono importanti, ma è la narrazione dell’evento delittuoso che fa notizia. La visione approfondisce e completa emotivamente la comunicazione discorsiva e intellettuale dell’informazione, ma lo scopo della fotocronaca è spesso proprio di appagare una curiosità, che può essere morbosa oppure solo un’esigenza veritativa.

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È infatti il caso della famosa fotografia del bandito Salvatore Giuliano morto, a pancia in giù sulla strada, che serviva a confermare la notizia della sua morte. Era tanto più necessaria la conferma perché il racconto dell’evento era in parte falso. Non era stato ucciso dalla polizia, ma dal cugino Gaspare Pisciotta che l’aveva tradito, e che poi fu avvelenato in carcere quando minacciò di rivelare il suo accordo con le autorità.

Nella situazione del bambino siriano annegato mentre fuggiva con la famiglia, è l’evento della morte durante la fuga la notizia principale, ma la diffusione “virale” dell’immagine l’ha resa più efficace per l’effetto globale che il mezzo visivo ha creato. Il corpo del bambino sulla sabbia e poi portato in braccio non avrebbe lo stesso effetto se non sapessimo che è morto. E che è morto nella fuga. La visione è una conferma di ciò che sapevamo già, tuttavia la conferma ci scuote, e aumenta l’angoscia.

bambino siriano_affogato

Nella fotocronaca esiste una realtà da comunicare e illustrare, in un tempo presente. Nelle illustrazioni dei libri, soprattutto per l’infanzia, i disegni sono un’aggiunta quasi necessaria. I libri di Collodi, di Carroll e di Saint-Exupéry ne sono l’esempio, sia che l’autore sia anche il disegnatore o no. Spesso i disegni diventano a loro volta dei capolavori da cui il testo non può prescindere, oppure il testo genera una serie di illustratori che si misurano avidamente con esso.

Il mezzo in cui parola e immagine si compenetrano totalmente è il fumetto (e il fotoromanzo). La commistione basilare tra parola e immagine è il teatro, ma proprio perché nel teatro la commistione è originaria, non viene vista come una commistione, bensì come un tutt’uno.

Questo ci introduce al cinema, prima muto e poi parlato, in cui l’immagine sembra prevalere, ma la storia non è affatto meno importante. Ci sono poi le versioni cinematografiche dei romanzi in cui gli sceneggiatori e il regista cercano in tutti i modi di apparire più creativi della storia di cui fanno la versione, più spesso rovinando il romanzo, ma non sempre.

Questo ci fa capire che il fotogiornalismo è un mezzo che opera dichiaratamente senza creatività, proprio perché vuole apparire veritiero e non “inventivo”. Lo scopo del fotogiornalismo, come della fotografia del resto, è documentare la realtà, e l’invenzione, se c’è, è un difetto non richiesto. Quando invece la foto vuol essere d’arte, si spoglia perciò della funzione veritativa, non perché ciò che si vede non sia vero, ma perché non è sulla verità che si vuole guidare l’occhio dell’osservatore, bensì sul fatto che il fotografo ha captato un aspetto formale che solo lui crede di avere colto ed esaltato.

 

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