Daily Aesthetics, 26. 8. 2016. L’“Autore” nel post-strutturalismo.

IMG_3107Leonardo Terzo, After Cartier-Bresson, 2016

Il concetto di autore sorgerebbe dal bisogno dell’uomo di evadere dai limiti della sua finitudine, propriamente umana, producendo una sfera culturale autonoma. Questa produzione innovativa sarebbe il modo di produrre ascrivibile alla tradizione del concetto di “genio”, emerso a suo tempo nell’estetica del Settecento.

Ma nella ricerca di tale indipendenza, ogni possibile richiamo ai limiti a tale autonomia culturale, in termini di interessi economici, politici o materiali, verrebbe escluso dall’autore. Messo di fronte a questo possibile limite, l’autore pretenderebbe di essere egli stesso a disegnare le condizioni materiali della finitudine umana.

In questa rappresentazione il soggetto vede il modo di superare questi limiti nell’unità e nella coerenza dell’opera d’arte. La rappresentazione della finitudine sarebbe il superamento della finitudine stessa.

Il costo di tale autonomia dell’autore della rappresentazione sarebbe la separazione della dimensione socio-economica dalla dimensione testuale, che ha le sue regole e convenzioni, del tutto intrinseche ed autonome.

L’autore non sarebbe indipendente dalla realtà, ma lo diventerebbe oggettivandosi, o meglio “soggettivandosi”, nel modo e nelle regole della rappresentazione. L’uomo ribalterebbe così la sua dipendenza dalla sfera socio-economica, ribaltando il rapporto nell’atto della rappresentazione testuale della stessa sfera socio-economica.

La realtà socio-economica determina l’uomo, ma l’autore diventa l’uomo che, rappresentando questa condizione, la ribalta imponendo le regole testuali della rappresentazione. Ma anche l’autore, sebbene in termini meno costrittivi, applica i canoni della dipendenza umana dalla sfera materiale socio-economica.

Barthes sosterrebbe che l’interprete-critico, che giudica le mosse dell’autore, vede e fa svanire l’identità dell’autore stesso nella nuova soggettività, oggettivata nelle regole della scrittura del testo. Quindi laddove gli storicisti vedevano l’autore come prodotto emergente dalla collettività in divenire che egli contribuisce a fare, per Barthes sarebbe la scrittura a sostituire l’autore come soggetto.

Per Barthes l’autore è una funzione della scrittura dal momento in cui non è più il produttore della scrittura. Per Foucault invece l’autore diventa fondamento della pratica politica che opera nella pratica della scrittura, finendo per determinare ciò che altrimenti lo determinerebbe. Questa posizione sarebbe simile a quella del genio nel nuovo contesto storico. Il suo effetto è di separare il testo dalla contaminazione delle condizioni materiali ed economiche.

Questa separazione tra testo e politica era già stata fatta dai New Critics. Ora egualmente il testo deve rimanere separato da considerazioni non testuali, di carattere politico e sociale. Nel post-strutturalismo il testo dipende non dall’autore, ma dal contenuto privo di autore e dal critico che può esporre le regole che strutturano i giochi linguistici che producono l’ambiente testuale.

Ma l’ambiente testuale tende di nuovo a generalizzare il suo controllo sulla sfera politica ed economica (come discorsi) riattivando come prima il movimento opposto.

Il contenuto senza autore è l’effetto delle pratiche discorsive che costituiscono la soggettività, e dipende dal meta-testo con cui il critico spiega le regole operative di queste pratiche. E il termine “autore” non può rimanere diviso tra autore, lettore, critico, e il contenuto determinato e determinante.

La controversia sul termine “autore” sembrerebbe così produrre una pratica materiale che supera la divisione delle sfere culturali dipendenti da tale parcellizzazione della soggettività umana.

Riassumendo: per Barthes l’autore è sostituito dalla scrittura; per Foucault è sostituito o ricostituito dall’insieme di tutti: dall’autore tradizionale, dal lettore, dal critico e dal contenuto creatore e creato.

Roland Barthes, The Pleasure of the Text, 1975.
Michel Foucault, Language, Counter-Memory, Practice, 1977.
Donald. E. Pease, “Author”, in Lentricchia & McLaughlin, Critical Terms for Literary Study, University of Chicago Press, 1990.

P. s. Dall’uso dei condizionali si dovrebbe capire che non condivido queste posizioni. D’altro lato le posizioni post-strutturaliste contro il logocentrismo, cioè l’accusa al linguaggio di introiettare il potere economico e ideologico per farlo passare come “naturale” e non ideologicamente condizionato, sposta colpevolmente il bersaglio. L’autore svanisce, assorbito nel discorso, ma il discorso è manifestazione del potere, chiunque faccia il discorso, perché la lingua contiene già la discriminazione. A mio parere il risultato è di distribuire a tutti coloro che parlano la colpa delle oppressioni socio-economiche insite nella lingua. E quindi, se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole.

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