Postmodernità e Zeitgeist 9

DSCN2714hLeonardo Terzo, Towards Postmodernism?, 2017

Una delle prime caratterizzazioni che muovono dal modernismo al postmodernismo all’inizio degli anni ‘70 è l’attenuazione o addirittura il dissolversi di ogni aggressività critica che, esplicitamente o meno, era alla base del modernismo, in primo luogo in termini di espressività formale, e poi quindi in rapporto alla realtà politica e sociale.

La dimensione satirica e distruttiva del dadaismo viene interpretata come libertà di idiozia. L’indirizzo ebete dell’impegno alla Cage e Warhol incide in ogni ambito come ricerca di vaghezza e varietà ludica. Valore e verità non hanno senso. Tutto vale, cioè non vale più di ogni altro nulla.

Questo usando come alibi anche la rivoluzione tecnologica discussa da McLuhan, che profetizzava la trasformazione del messaggio a causa del mezzo e veniva invece interpretata come dissoluzione della funzione referenziale a vantaggio della funzione fatica. Vedi ora lo sbocco nei tweet di Donald Trump. Ma soprattutto usando il fatto che l’industria culturale, a partire dall’America, si impadroniva delle invenzioni moderniste svuotandole di serietà, e impedendo loro ogni induzione alla riflessione. Come diceva Richard Rorty, la ricerca filosofica cede il posto alla conversazione.

La dominante cultura cosiddetta di massa era una dispersione e un abbassamento degli interessi e dei costumi sociali verso il sentire postindustriale dove il consumismo aveva sostituito la coscienza di classe ad ogni livello, sostituita da una serie di coscienze delle minoranze, femministe, razziali, giovaniliste; queste ultime in particolare indotte o condannate a prendere quegli atteggiamenti ribellistici in sostituzione della lotta di classe che i loro genitori, ex classe operaia, non sapevano più proporre.