Le nuove tecnologie sono l’ambito in cui nella contemporaneità si può con maggiore evidenza verificare quel passaggio di carattere dialettico “dalla quantità alla qualità”.
Per esempio in termini di interattività. Il lettore di un libro o di qualsiasi messaggio in materiale cartaceo o fonico ovviamente non è del tutto privo della possibilità di interagire con esso: per esempio quando riceve una telefonata, quando apre una lettera o un telegramma e lo legge e risponde oppure no. Oppure quando, nella lettura di un libro, salta da una pagina all’altra, o sceglie un capitolo o un saggio di una raccolta. Inoltre può annotare il testo o prendere delle note a parte, oppure ancora citarlo in un altro scritto.
Il concetto stesso di intertestualità non è che il risultato dell’interazione stratificata nel testo, anche se stabilizzata e “paralizzata” in esso, perché tale immobilità relativa è funzionale all’identificazione testuale e ai suoi usi.
Ma i nuovi ambienti interattivi producono potenzialità comunicative precedentemente non realizzabili, e di conseguenza nuovi tipi di testo di cui la nuova interazione disponibile è il nucleo. La tecnologia del computer permette al lettore come autore di ricreare più liberamente la sua testualità, appunto liberando gli strati, accumulati dalla comunicazione come scrittura libraria, e di mobilitarli in tutti i sensi: rifacendoli, divulgandoli, condividendoli, archiviandoli.
Stabilità (nel libro) e mobilità (sul computer) sono perciò caratteri e finalità del mezzo che vengono valorizzati nel testo e nell’ipertesto ciascuno a suo modo. Per esempio per una maggiore agibilità riflessiva sugli argomenti nel testo cartaceo, per una maggiore apertura “multitasking” nell’ipertesto e nel web, che privilegiano la rapidità dei contatti, la diversificazione e ramificazione degli interessi di ricerca in tempo reale.
Inoltre l’ipertestualità ha quasi subito integrato i messaggi iconici della multimedialità dando luogo ad una finzione creativa che in tal caso sarebbe confrontabile più opportunamente con il graphic novel, e con tutti i generi e mezzi che presuppongono l’interazione del codice verbale con quello iconico.
Anche se gli ipertesti creativi attualmente sono in un momento di minor fortuna, dopo l’iniziale più numerosa produzione degli anni ’90, si sa che nello sviluppo dei vari rami delle nuove tecnologie i processi e i progressi avanzano a sbalzi, con rapidi sviluppi endemici e successivi momenti di apparente stasi.
Come molti hanno notato, e in particolare George Landow, l’ipertesto realizza concretamente alcuni sviluppi che la teoria decostruzionista aveva potuto solo “teorizzare”. Il recupero della visibilità dei costituenti materiali, scientifici, logistici, come pure il recupero di consapevolezza sociale e culturale delle condizioni di produzione dei testi sono di nuovo al centro degli interessi non solo intellettuali, ma propriamente economici, nella concretezza degli apparati mediatici.
La metafiction modernista e postmodernista aveva reso visibili i processi percettivi ed espressivi operanti nella coscienza dell’individuo e, attraverso l’autoanalisi della produzione artistica, spostava gli interessi della cultura del secolo scorso sui meccanismi di produzione del senso. Ma solo l’improvviso arrivo nella realtà dei nuovi mezzi di comunicazione sposta l’attenzione “futurologa”, inaugurata da Marshall McLuhan, dall’esplorazione planetaria del sistema solare all’esplorazione delle nanotecnologie che permettono la diffusione degli apparati protesici del cervello umano.
La perdita di fiducia nella struttura teleologica della vita e del concetto di fondamento nella filosofia occidentale che informava lo spirito del tempo del Novecento, va quindi ripensata alla luce dell’instaurarsi dell’impero della connettività globale che la rete di fatto ha operato senza chiedere legittimazione né ai filosofi, né agli economisti. Anzi questi, a loro volta, si trovano alle prese con problemi di identificazione e di identità disciplinare di fronte all’incontrollabilità periodica delle crisi mondiali del mondo più sviluppato.
In termini di estetica si è andata gradualmente instaurando un’estetica del mezzo, che adotta il criterio del giudizio di valore relativamente alla capacità dei prodotti artistici di sfruttare le potenzialità del mezzo adottato. In termini di poetica si suggerisce il superamento della poetica del frammento tipicamente novecentesca “con la poetica della sutura che è invece tipica della connettività ipertestuale” (vedi Paola Carbone, Patchwork Theory. Dalla letteratura postmoderna all’ipertesto, Mimesis, Milano, 2001, p. 19).
Poiché la natura umana è trascesa nella cultura, e poiché la cultura è costituita solo da ciò che può essere comunicato e condiviso, è fondamentale l’acquisizione della consapevolezza, persino a livello di massa, che la connessione alla rete costituisce il sistema di informazione del mondo contemporaneo. Né c’è bisogno di dire che la libertà di comunicazione diventa il requisito di base della democrazia, anche al di sopra dei sistemi statuali che in qualsiasi forma sembrano garantirla oppure opprimerla.
In questo senso l’aggiornamento della letteratura, sia in termini di prodotti (le opere, o i testi) sia in termini di concezioni (cosa può essere la letteratura) nel presente e nel prossimo futuro non può non risentire della riconsiderazione che investe e rimescola tutti i prodotti culturali.
Ma il senso che la ricerca letteraria, sia pure in termini di poetica, come programma operativo di formalizzazione, deve acquisire è appunto la prefigurazione del mondo in fieri. Questo compito è ormai estremamente difficile, perché ogni giorno il presente smentisce ogni previsione anche a breve. Perciò in primo luogo la letteratura deve almeno in apparenza uscire dalla propria specificità e autonomia, iniziata dalle estetiche del Settecento, e immergersi di nuovo nel mare proto-letterario della comunicazione indifferenziata.
Dopo questo lavacro nell’indiscriminato multimediale, la letteratura potrebbe porsi alla ricerca delle forze che muovono in profondità i flussi di idee, le aspirazioni, i desideri che stanno delineando i percorsi più frequentati da quel misto di parole, suoni e immagini provenienti da tutte le precedenti logiche e tecnologie, culture e identità.
E. M. Forster, all’inizio del secolo scorso, quindi circa cento anni fa, aveva forgiato un motto per definire non la letteratura, ma la critica letteraria, cioè la razionalizzazione dell’indefinito simbolico. Il motto era “Only connect”. Sembrerebbe un motto attuale, in sintonia con l’ottimismo degli entusiasti del presente reticolare e istantaneo. Tuttavia l’eterogeneità feconda della rete sembra raccomandare non ancora delle suture compiute, ma semplici imbastiture ristrutturabili per una post-umanità in formazione.
Cristina Marelli è autrice di The Survival of Literature. Remake Practices from Shakespeare to the Graphic Novel, Milano, Arcipelago Editore, 2010