Leonardo Terzo, Lettore invisibile, 2002
La lettura introduce al problema del cosiddetto “lettore modello” che, secondo le varie versioni della teoria della ricezione, il testo costruirebbe attraverso segnali più o meno espliciti in esso contenuti. Il lettore modello ovviamente non coincide col lettore empirico, ma non è nemmeno tenuto ad uniformarsi ai desideri di comunicazione dell’autore (implicito), a meno che non sia esplicitamente nominato e descritto dal testo stesso.
In realtà tutto quello che l’autore può aspettarsi dal lettore, modello o empirico che sia, è che condivida l’enciclopedia di nozioni che costituiscono il mondo rappresentato, comprese le convenzioni letterarie pertinenti. Se invece l’autore vuole coinvolgere il lettore con la sua ideologia, tutto ciò che può aspettarsi da lui è che capisca ciò che l’autore-testo cerca di fare. Ma una volta capito il senso del testo, il lettore non è tenuto a reagire nel modo auspicato dall’autore, bensì l’autore deve ritenere che il lettore sia comunque libero di reagire ideologicamente ed emotivamente come vuole, e quindi, in linea di principio, anche libero di confutare l’esemplarità e l’utilità del mondo messo in scena dal testo, o anche solo la compassione per esso.
Manzoni per esempio scrive i Promessi sposi avendo in mente un lettore credente, ma non può aspettarsi che tutti i suoi lettori siano credenti. E certamente auspica di essere letto da tutti e non solo dai credenti. La letteratura modernista, quindi, elimina di solito il narratore onnisciente, che commenta e indirizza i lettori alla comprensione delle vicende narrate, appunto perché ha capito che la libertà interpretativa del lettore soverchia la possibilità di presentare un modello implicito “obbligatorio”, o anche solo opinabile, di lettore.
Può darsi che una letteratura ingenua, oppure ideologicamente impegnata, costruisca davvero al suo interno un modello di lettore impegnato sulla stessa linea ideologica del testo, ma nel momento in cui ci si rende conto che il lettore empirico può reagire in modo opposto, non perché ha frainteso il testo, ma proprio perché lo ha capito, l’ipotesi di lettore modello dovrebbe perdere senso anch’essa, o per lo meno, con altra denominazione, diventare la figura di “lettore complice”, più che lettore modello. In tal caso però è possibile, se non addirittura necessario, affiancargli un lettore antagonista o indifferente. In effetti il decostruzionismo intende proprio porsi in posizione antagonistica in questo senso, solo che lo fa in modo arbitrario, prefigurando esplicitamente, ma ad un livello invisibile, un ipotetico testo alternativo che di fatto non esiste.
A parte ciò, tutti i narratori inaffidabili sarebbero, per esempio, espedienti ironici con cui l’autore costruisce ipotesi di lettori modello più furbi di chi racconta, o con un altro apparato ideologico interpretativo. Il concetto di ironia drammatica andrebbe applicato in primo luogo al lettore modello, che infatti, come i personaggi, non sa cosa lo aspetta. Per esempio il lettore modello del giallo in teoria dovrebbe capire tutto ciò che capisce il detective, ma il piacere del lettore empirico sta proprio nel non capire tutto e nel fare ipotesi intuitive (abduttive, dicono i semiotici) in attesa della conferma o più spesso della smentita finale. Per fare da schermo e nello stesso tempo dare voce all’inferiorità del lettore rispetto alla superiore perspicacia del detective, il giallo ha inventato il ruolo dell’aiutante del detective, che di solito è anche il narratore, limitato e quindi inaffidabile, che si assume la responsabilità dei propri limiti, e che è davvero un lettore modello intradiegetico (che partecipa alla storia dal di dentro) dall’inizio alla fine, solo che, o appunto perché, non capisce.
L’autore implicito dovrebbe costruire forse un lettore modello indifferente, per esempio il lettore modello del nouveau roman, come lo è stato Roland Barthes. Ma, se il lettore modello esiste, esso è chiunque subisca un effetto qualsiasi del testo, apprezzativo o persino di rifiuto. Ad ogni modo tutti i modelli di lettore prospettati dalla teoria della ricezione si possono tendenzialmente raggruppare in tre categorie:
a) la categoria empirico-sociologica;
b) la categoria fondata sulla competenza;
c) la categoria che chiamerei “testualista”.
La categoria empirico-sociologica è costituita appunto dai lettori reali, la cui ricezione è rilevabile con indagini sul campo di tipo sociologico. Esempi di indagini di questo tipo hanno come leggendario capostipite l’esperimento di I. A. Richards, riportato nel libro Practical Criticism (1929), in cui vengono raccolte le interpretazioni di alcune poesie presentate in forma anonima ad un gruppo di studenti universitari. L’esperimento dimostrò che la mancanza di notizie sugli autori e sul contesto storico-letterario induceva gli interpreti a molti fraintendimenti. Di fronte a questo risultato si può osservare che una teoria orientata completamente a beneficio della libertà interpretativa del lettore accetterebbe ciò che Richards considerò fraintendimenti come alternative legittime. Una teoria orientata al lettore competente rafforzerebbe la convinzione che l’esperienza del mondo, la cultura generale e l’educazione letteraria, sono invece necessarie per comprendere qualsiasi testo, non solo quello poetico. Infine una teoria testualista condividerebbe la necessità della competenza specificamente letteraria del lettore, ma restringerebbe tale competenza alla sfera filologica e ad una enciclopedia imprecisata a cui fare riferimento solo in presenza di connessioni dirette al testo.
Un esempio di indagine più esplicitamente sociologica è quella condotta da Janice A. Radway in Reading the Romance. Women, Patriarchy and Popular Literature (1984), sulle lettrici di romanzi rosa negli Stati Uniti. Questa ricerca sul campo ha messo in luce soprattutto la funzione emotiva consolatoria della letteratura di consumo. In tal caso un’interpretazione collaudata o stereotipata, cioè ad un livello relativamente basso di competenza enciclopedica, ma molto specifico del genere, è comunque preliminare per un uso pratico della lettura come distrazione, esplicitamente definita “tranquillante”. È comunque significativo che la letteratura popolare (e quindi in questo caso la sua lettrice modello) si trovi più facilmente in sintonia col lettore empirico, perché l’uso e il riuso della densità semantica del testo non ha tra i suoi requisiti una riattualizzazione innovativa di esso, anzi al contrario le lettrici dichiaravano che talvolta, per essere sicure dell’effetto consolante della storia, preferivano rileggere un libro già letto.
I teorici della letteratura d’avanguardia hanno motivi per criticare questo tipo di fruizione, ma la rilettura è un atto che pertiene in eguale e anche maggior misura ai classici, che infatti diventano tali perché sono continuamente riletti. La rilettura dei romanzi rosa da parte delle casalinghe americane realizzava quindi, al suo livello, due effetti propriamente estetici: il riconoscimento e il riuso di un classico del suo genere, e un’esperienza simile a quel piacere del testo che Barthes chiama “godimento” (jouissance), prevalentemente sensuale, che va oltre il mero interesse per il “come va a finire”.
La categoria dei lettori competenti ha come modello più esigente il “superlettore” ipotizzato da Michel Riffaterre (“Describing Poetic Structures: Two Approaches to Baudelaire’s ‘Les chats’”, 1966). Si tratta infatti di un lettore particolarmente preparato, al limite dell’onniscienza, da considerare almeno come interprete ideale. Ma se, appunto come ideale, questo modello è proponibile, non si può invece non tenere conto che un lettore modello, mediamente competente, non può non avere lacune e margini di ignoranza o di non totale sensibilità al testo.
Per attenuare questo divario, i limiti del lettore modello sono estesi ad una misura intermedia nel “lettore informato” di Stanley Fish (Is There a Text in This Class?, 1980), la cui competenza e incompetenza sono condivise da una “comunità interpretativa” alla quale il lettore appartiene, e che sembra l’artificio plausibile per fornire una giustificazione sociale alle peculiarità e ai fraintendimenti della lettura individuale. In questo modo infatti il modello di Fish trae profitto sia dal fatto di avere una certa preparazione letteraria, nella misura in cui ciò lo rende “informato”, sia dal fatto di non avere una preparazione totale come quella del “superlettore” di Riffaterre, ma tale deficienza è giustificata dall’essere comunque sociologicamente condivisa dalla comunità interpretativa a cui egli appartiene. Il “lettore informato” si colloca quindi a metà strada tra il modello empirico-sociologico (che potrebbe anche non sapere niente) e quello competente (che dovrebbe sapere tutto): questa mediazione è appunto la comunità interpretativa.
La stessa preparazione filologica, assoluta o parziale, ma comunque necessaria per essere “superlettori” di Riffaterre o per essere “informati” per Fish, prende il nome di “orizzonte di attesa” nella teoria della ricezione di Hans Robert Jauss (“La teoria della ricezione”, in Teoria della ricezione, a cura di Robert C. Holub, Torino, Einaudi 1989). Questa diversa denominazione non cambia il fatto che l’orizzonte d’attesa è prodotto dagli indizi che il lettore reperisce nel testo attraverso l’uso delle sue conoscenze. Per questo possiamo considerare il modello di Jauss a metà strada tra la versione competente di Riffaterre e quella testualista.
Il modello testualista, ovvero quello che più sottolinea la necessità che sia il testo stesso a fornire gli elementi per l’interpretazione, mentre il lettore è solo la configurazione di un principio conoscitivo che si attiva a contatto col testo, è meglio rappresentato dal “lettore implicito” di Wolfgang Iser (The Implied Reader, 1974, e The Act of Reading. A Theory of Aesthetic Response, 1976). Per quanto anche per Iser il lettore implicito attualizzi il senso del testo senza sottrarsi alla sua inevitabile identità di essere umano nella Storia, l’interattività fra lettore e testo è un’interrogazione delle strutture testuali che sono il vero interesse della lettura. Con esse perciò il “lettore implicito” cerca un’identificazione che riduca le deviazioni interpretative del lettore empirico invece di coltivarle.
Ma il lettore, modello o non modello, empirico o informato, o super, è sempre comunque colui che, pur con varie gradazioni, trova nel testo un significato, o una certa quantità di significato. Ora, giusta o sbagliata che sia l’interpretazione o anche la semplice comprensione di questo significato, ciò che permette, potenzialmente e di fatto, la comprensione stessa è l’implicita condivisione del significato tra autore e lettore sul luogo e nello spazio del testo. E, come qualsiasi comprensione di un qualsiasi significato, ciò avviene per convenzione condivisa, per cui quando dico “gatto” nel sistema della lingua italiana, tutti capiscono “felino domestico” e tante altre cose ancora indicate dal contesto (per esempio: gatto con gli stivali = personaggio di favola). Quindi l’interpretazione di un testo sarà più o meno corretta quanto più ci sarà condivisione, per convenzione, della parte di enciclopedia inserita nel testo dall’autore e l’enciclopedia del lettore.
Ma ciò che importa non è la misura della comprensione a seconda della misura dell’identità di enciclopedie, bensì il fatto che giusta o sbagliata, superficiale o profonda, la comprensione e l’interpretazione avvengono con questo meccanismo, con questo patto fruitivo o “cooperazione testuale”. Il lettore che si ritiene libero di prescindere dal patto fruitivo, può naturalmente farlo, purché sia consapevole di “non stare ai patti”. Se infatti suppone per ignoranza, o decide per eccentricità, che il gatto con gli stivali sia l’ultima moda lanciata degli stilisti per i proprietari di felini domestici, la sua comprensione è la comprensione di un testo non ancora scritto, o che sta scrivendo lui per la prima volta nella sua mente durante la sua lettura.
Poiché la letteratura è per definizione un’arte, cioè una creazione che, come tale, inventa e propone ai fruitori messaggi in gran parte inediti, la sua convenzionalità è trasgredita e ristabilita a livelli ogni volta più avanzati, rispetto al sistema letterario conosciuto. Ciò che ogni nuova opera e anche ogni nuova lettura aggiunge al sistema letterario e intertestuale generale è una quantità di informazione estetica e di informazione tout court, non diversamente da ciò che succede quando, anche fuori dalla letteratura, un messaggio comunica una certa informazione a qualsiasi destinatario. Naturalmente l’informazione estetica consiste in nuovi modi esemplari di combinare invenzione formale, atteggiamento umano ed elementi cognitivi reali e immaginari. Dopo aver letto i poemi omerici, sebbene in traduzione, la nostra informazione estetica, ovvero la nostra consapevolezza delle convenzioni letterarie e dell’antropologia della Grecia antica di cui siamo eredi, ci permette di affrontare il resto della letteratura con un bagaglio di strumenti ermeneutici molto più ampio ed efficace, capace per esempio di percepire molte somiglianze e differenze quando leggiamo l’Eneide, La Divina Commedia, Ulysses di Joyce e Fuga senza fine di Joseph Roth.
Allo stesso modo in cui è il sistema condiviso della lingua che permette ai parlanti di capirsi, così egualmente sarà il sistema di conoscenze letterarie del lettore che permette di interpretare una poesia più o meno correttamente. Quindi tutti i modelli di lettore non sono che simulacri di qualcosa che è semplicemente il significato del testo, che sta lì perché ci è stato messo in quel modo convenzionale, e viene raccolto e capito alla lettura perché si conoscono quelle convenzioni, linguistiche e letterarie.
Di conseguenza quando i teorici della ricezione dicono che il testo costruisce e contiene il suo lettore modello, usano una figura retorica detta “personificazione”, per dire semplicemente che il testo costruisce e contiene il suo significato. Il lettore modello è soltanto un’astrazione della critica. Di fatto esistono solo lettori empirici, i quali possono diventare lettori modello se interpretano correttamente il testo, cioè seguendo le istruzioni contenute nel testo stesso. Quindi nella cooperazione testuale più che lettori che attualizzano un testo, vi sono testi che stimolano nei vari lettori empirici la reazione cognitiva e interpretativa adeguata. Tutta la retorica, la fraseologia e il gergo della teoria della ricezione sono un modo inutilmente complesso per dire che il testo ha un significato e che ci sono lettori più o meno in grado di decodificarlo, per preparazione culturale generale, per conoscenza specifica delle convenzioni letterarie e per sensibilità personale.
Leonardo Terzo