Europa, la ricerca della misura culturale ideale, di Patrizia Nerozzi

6a00d8341c684553ef01538ffe0572970b-320wiSe dovessi collocare il mio intervento nei generi di una retorica non letteraria, aggiornata ai tempi, lo definirei un preambolo programmatico. In questo senso mi limiterò ad enunciare una serie di problemi e di idee guida suscettibili di sviluppo a più livelli, anche come ipotesi di programma di politica culturale.

L’Europa sta pervenendo ad una effettiva unificazione politica proprio quando sono in corso tutti quei processi che si cerca di definire coi termini di mondializzazione o globalizzazione. L’Europa per ciò si avvia ad una maggiore integrazione politica, quando la cosiddetta mondializzazione sembra oltrepassare e svuotare le motivazioni per cui l’Europa aveva concepito ed iniziato il processo di unificazione che ora sembra  vicino a concludersi.

Per dirla in breve, dal punto di vista economico l’allargamento del mercato, meta iniziale dell’unificazione europea, sembra non solo già realizzata nei fatti, ma aver trasceso la dimensione continentale stessa, svuotando il senso delle motivazioni economiche dell’unione.  Per esempio il Governatore della Banca Mondiale ha già suggerito l’idea di una moneta unica mondiale. Allora la questione che ci si pone può essere formulata come segue. Non è possibile deludere le aspettative indotte nei popoli europei presso i quali, nonostante le peculiarità e le appartenenze nazionali, non si può negare l’emergere di una volontà comunitaria. E se inizialmente la spinta propulsiva dell’Unione Europea è stata l’economia, nel momento in cui questa motivazione non è più determinante, occorre sostituirla o integrarla con altre  motivazioni.

D’altra parte l’accelerazione delle trasformazioni economiche e culturali nasce con l’Umanesimo e con il mercato proprio in Europa. Il motore di queste trasformazioni è il progresso, sia di fatto sia come ideologia. Questo motore si è trasferito dall’Europa, dove era nato, all’America. L’America anzi è proprio nata con questo scopo: accogliere l’eccesso di libertà che non trovava spazio in Europa. E’ in America che l’economia e le tecnologie hanno prodotto quei modelli di sviluppo che sono diventati globali.

Allora l’Europa per dare un senso alla sua unità deve fare appello ad altri interessi che non sono quelli puramente economici, bensì economico-culturali, e qui l’idea di cultura va intesa  sia nel senso apprezzativo, come valore di civiltà, sia nel senso  descrittivo e antropologico. L’identità europea va quindi ricercata in termini di dimensioni e di tradizioni tra mondialismo e localismo. I timori suscitati dalla mondializzazione non riguardano soltanto l’economia, ma vanno individuati anche nella applicazione di logiche economiche ad ambiti ad esse estranei, con conseguente  possibile distruzione di molte forme culturali specifiche.

D’altro lato la dimensione locale non può essere né eliminata né  eretta a patrimonio di comunità più ampie,   perché  specifica di situazioni  territoriali ed etniche, ma va inserita in un sistema di articolazioni organico sulla base di una complessa varietà di appartenenze. Il problema è quindi come superare il provincialismo e il nazionalismo senza dissolversi nel mondialismo. Chi vuole dare unità all’Europa deve trovare le ragioni di questa misura ideale intermedia.

Come illustra bene Habermas nel suo saggio Lo stato nazione europeo, la formazione degli stati nazionali, e quindi ora anche la formazione di uno stato sovranazionale europeo, richiede la realizzazione di una cittadinanza politica, e questo è già in via di compimento, ma richiede anche la formazione di una identità nazionale europea, che è un compito già percepibile e tuttavia ancora  difficile da realizzare a livello di piena consapevolezza. Il nuovo compito degli intellettuali diventa per ciò la costruzione ideologica dei motivi dell’integrazione e della solidarietà europea continentale.

Quali valori, quali aspetti, quali livelli d’appartenenza si prestano alla configurazione di questa misura ideale? La nostra tesi è che specificità e cultura in gran parte coincidono, e la misura ideale è da  individuare sulla base di criteri apprezzativi  di carattere culturale. E’ noto ad esempio che nell’unificazione dell’Italia le ragioni sociali e le ambizioni politiche furono corroborate da forti spinte ideali che avevano trovato il loro canale principale nella letteratura dell’Ottocento.

La concezione sovrastrutturale della cultura è stata finora la sua debolezza dal punto di vista economico.  Ora che viviamo nella società della comunicazione non c’è bisogno di dire che la cultura può diventare, anche da questo punto di vista, una delle maggiori risorse del territorio europeo. Lo sfruttamento di questa risorsa implica però il ritorno ad un forte senso di identità, che non va confuso con l’etnocentrismo, perché permeato di una coscienza diversa, che ha assimilato gli anticorpi della  postmodernità.

Ritengo però anche necessario dire che se gli europei non saranno capaci di definire e accettare una propria identità continentale, non saranno in grado nemmeno di riconoscere quelle altrui. Il ritorno del rimosso è un meccanismo che vale anche per quel che riguarda la propria cultura. Potremmo dire che i ricorrenti episodi di xenofobia sono una sorta di ritorno  del rimosso della propria identità culturale in forma patologica.

La dimensione culturale si pone come composto in cui entrano vari eccipienti ed è necessario affermare con forza che la cultura delle arti e delle lettere è una elaborazione di valori che ha un suo orizzonte ontologico fondato sulla storia del Continente, anche quando questa storia si è articolata in termini di conflitto.

Mentre ad esempio i giornali sono identificabili con la quotidianità, e quindi sono più vicini all’immediatezza basica delle lingue e ai limiti spazio-temporali dell’interesse cronachistico, lo specifico delle arti è quello di astrarsi dal contesto immediato, per costituire un ambito autonomo che, pur all’interno di situazioni politico-geografiche determinate, istituisce una sfera di permanenza atta a porgere lo specchio ove riconoscere un’immagine più ampia e più autentica della propria identità.

Infatti mentre l’attualità è insieme localistica e mondialistica, le arti, pur storicamente radicate, tendono a decontestualizzare la materia trattata, non in un eterno futuro come ad esempio l’informazione vieppiù accelerata della telematica, bensì nella persistenza di una rete mitografica capace di resistere alla frenesia comunicativa in atto. La dimensione artistico-letteraria va considerata così una sorta di giroscopio della coscienza europea, che permette ai nuovi soggetti della cultura continentale una stabilità irreperibile altrove.

Ma che cosa s’intende per identità? L’identità non è un unico valore, non è neanche una molteplicità di valori, ma è un insieme stratificato di appartenenze  condivise in misura maggiore o minore su una scala graduale di integrazione, che va da una assoluta estraneità ad una assoluta identità, estremi egualmente ipotetici e irraggiungibili. All’interno di questo campo gli individui appartengono a tradizioni e comunità locali, a loro volta inserite in organismi più ampi in continuo divenire. La coesistenza e la mobilità di queste appartenenze rende l’identità aperta e nello stesso tempo sufficientemente integrata da essere riconoscibile.

Occorre sottolineare che essa diventa infatti riconoscibile a livello comunicativo perché la natura della cultura è proprio la sua trasmissibilità. La cultura quindi è tale solo in quanto condivisa e tale condivisione avviene in ambienti informativi di varie misure, che confluiscono tutte in una sfera pubblica di consapevolezza, dove ogni apporto si rielabora e si offre per nuove condivisioni.

In questa sfera operano forze diverse, e nel mondo attuale i mass media ne costituiscono l’asse portante. Tuttavia la funzione di portavoce dei soggetti storici, che sono sempre stati elitari, in virtù di questi stessi mezzi di comunicazione di massa si è molto allargata e differenziata. Le élite culturali sono ora più sgranate e distribuite nella società e comprendono certamente organismi legislativi, burocrazie statali,   professioni civili, operatori della stampa e della televisione,   ma anche divi della musica pop, creatori di moda  e  microculture generazionali.

Se noi vogliamo costituire un concetto adeguato di Europa dobbiamo individuare quali sono gli elementi culturali adatti all’ampiezza di questo concetto. Le rivoluzioni culturali avvengono sempre dopo quelle economiche e di solito vengono imposte con la forza della politica quando i nuovi rapporti economici si sono già stabilizzati. La rivoluzione culturale in atto non deve per esempio porre l’alternativa tra insegnare la Divina Commedia o i programmi di Internet, ma coniugare entrambi, come fanno ad esempio alla Brown University col Decameron Web, senza essere succubi dei paradigmi estetici predominanti in rete, che per chi ha un’educazione artistica radicata nell’arte europea sono un obbrobrio  situabile tra  Disneyland e gli effetti speciali.

Si possono invece capovolgere i capi di questo determinismo discorsivo e dire: poiché la cultura si adegua sempre in ritardo all’economia, e poiché l’economia ha già superato dimensioni continentali europee, se vogliamo delimitare un’entità geo-politica europea dobbiamo darle dei connotati culturali, approfittando proprio del ritardo fisiologico dell’adeguamento della cultura all’economia. Poiché il nostro gusto, sebbene contaminato da Disneyland e dagli effetti speciali, è ancora legato a Michelangelo, a Renoir  e a  Picasso, questo tipo di interessi  è  rilevante per tener legati i popoli europei  e per proteggerli dalle angosce della globalizzazione.

La prospettiva che qui si offre alla riflessione è per ciò di usare la cultura come articolazione coesiva che tenga unito il Continente, impedendogli di dissolversi in un’omogeneità mondiale. D’altra parte l’individuazione dell’identità culturale europea non può fare a meno di tener conto delle trasformazioni in corso, come: la  riconfigurazione del senso dello spazio e del luogo imposta dai nuovi media; la deterritorializzazione che accentua la dimensione  simbolica dei  confini; la permeabilità di questi  nuovi confini e le nuove dimensioni delle reti di produzione  e  distribuzione  dei prodotti culturali.

Il pubblico dei media forse non è sempre consapevole di questo passaggio. Quindi i gusti dei pubblici nazionali sono più omogenei ed europei  di quanto essi stessi  non sappiano. A questi elementi in divenire si contrappone quel sostrato culturale già determinato dalla storia del continente: dall’eredità classica al Cristianesimo, dagli ideali umanistici del Rinascimento al cosmopolitismo illuminista, dagli ideali di democrazia alla comune esperienza delle resistenze europee al fascismo e al nazismo, fascismo e nazismo che peraltro, per quanto negativi, dobbiamo riconoscere come esperienze europee anch’esse.

Naturalmente l’educazione sentimentale del patriota europeo dovrà pensare ad una diversa utilizzazione del passato, anche di fronte alla perpetua istantaneizzazione della cosiddetta comunicazione in tempo reale.  La strategia culturale che permetta all’Europa di promuovere la sua identità anche dentro i nuovi confini virtuali e simbolici deve saper conservare il passato, impedendogli di appiattirsi sul presente perpetuo, con un ancoraggio alla storia che non sia smerciabile come un prodotto, bensì prefiguri forse una visione del destino.

Il postmodernismo ha transvalutato la storia e la filosofia ad un livello di immediatezza di interessi, sostenendo che sia la storia, sia la filosofia sono discorsi che articolano retoricamente interessi del presente, e quindi ne deriva che l’immanenza delle pulsioni non si trascende né nel passato, né a livello di superiore categorialità e idealità. Tale immanenza si manifesta appunto nella perpetua presentificazione prodotta dalla tecnologia telematica, ma anche dalla inevitabile interdisciplinarietà dei saperi di ciò che oggi in Inghilterra e in America si denomina “Teoria”.

Questa interdisciplinarietà può essere considerata a sua volta una particolare versione dell’interculturalità, e in questa teoria vorrei inserire, a guisa di conclusione, un’idea che sintetizza il senso profondo della mia proposta. Si tratta di riconciliare i due significati del termine cultura, menzionati all’inizio: quello apprezzativi, come civiltà, e quello descrittivo, propriamente antropologico.

Le società occidentali si caratterizzano infatti, tra le altre cose, per una specifica distinzione tra oggetti  presi  in considerazione dalle scienze sociali e dall’antropologia e oggetti presi in considerazione dall’estetica.  Il dominio artistico si differenzia per una sottrazione degli oggetti in esso rilevanti all’ambito delle pratiche ordinarie e collettive. Laddove l’apprezzamento estetico evidenzia l’originalità, l’unicità e l’autorialità del valore, l’antropologia è interessata ad un’omologazione al contesto di artefatti anonimi, funzionali e surrogabili. La proposta di evidenziare il dominio artistico nell’ambito culturale come specificità della storia europea tende a riconvertire in una certa misura e in senso nobile il documento d’arte in documento etnografico.

Questa riconduzione della dimensione estetica alla dimensione etnografica vuole essere anche un modo inedito di elaborare quegli interessi attualmente in auge sotto l’etichetta di Cultural Studies. Ma mentre gli studi culturali vedono prevalere una deriva verso la dissoluzione dell’estetico in un campo d’Agramante di poteri in conflitto, attribuendo così di nuovo una funzione strumentale e servile all’operatività artistica, la nostra proposta evidenzia invece delle scelte opposte. Sono le scelte che nella storia occidentale hanno spinto la violenza del potere a sublimarsi in configurazione simbolica e quindi in dominio culturale.

Con un processo inverso all’eternizzazione dada dell’ objet trouvé operata da Marcel Duchamp o dalla pop art, alla nostra proposta è per ciò sottesa l’idea che l’ambiente etnograficamente significativo per l’essenza del cittadino europeo sia un’atmosfera vitale in cui la prospettiva estetica sia diventata imprescindibile per la comprensione della nostra autenticità.

(già pubblicato in AA. VV.  L’Europa nel terzo millennio, Sellerio, Editore, Palermo, 2004)