Che cos’è la letteratura 7. La nozione di letteratura nel tempo

Leonardo Terzo, Regent’s Park Horizon , 2010

Noi abbiamo distinto le funzioni del linguaggio per cui abbiamo identificato la letteratura e in genere l’arte con la funzione estetica e autoriflessiva, ma questo è il punto di passaggio di un processo storico della cultura europea e occidentale che, a partire dal Settecento, istituisce la categoria dell’estetica, e separa l’arte dalle altre funzioni a cui sono adibiti i prodotti dell’ingegno umano.

Come abbiamo visto la postmodernità già trasforma l’uso delle categorie delle poetiche moderniste. E naturalmente in epoca pre-moderna l’attività artistica non era intesa nella sua autonomia, ma faceva parte dell’insieme dei saperi della comunità. Aveva cioè una funzione strumentale ai fini di quello che di volta in volta si poteva chiamare: linguaggio della tribù, spirito dei tempi, episteme, ideologia dominante. Molto genericamente detto, gli oggetti estetici verbali, ovvero la letteratura, sostituiscono gli oggetti rituali o mitici, in concomitanza con la secolarizzazione della società e con l’industrializzazione.

Il rapporto dell’arte con l’ideologia viene tuttavia considerato un fatto inevitabile anche dopo l’istituzione dell’estetica come ambito autonomo, sebbene in modo meno diretto, e comunque questa dipendenza dall’ideologia (dominante o antagonistica) non è più il criterio esplicito di selezione del gusto. Prima di quel processo di autonomizzazione che culmina nel Settecento, le arti facevano dunque parte del patrimonio culturale della società principalmente come strumento conoscitivo e mezzo per trasmettere e diffondere le nozioni della tradizione e il patrimonio di valori della comunità. Perciò le due nozioni di letteratura, quella d’invenzione e la trattazione di argomenti storici o scientifici, coincidevano o si sovrapponevano.

Il letterato, nel Trecento italiano, era semplicemente chi sapeva leggere e quindi era considerato uomo di cultura, significato che si accresce e si fissa nel Rinascimento, e corrisponde anche alla nozione successiva di intellettuale, una prosecuzione laica di quelli che nel Medio Evo erano i “chierici”. La nozione ha dunque un connotato di classe o di casta sociale e quindi di funzione sociale. In Italia e in Inghilterra e in genere in Europa, la nozione di letteratura come opere d’invenzione, principalmente volte alla lettura per divertimento e non all’apprendimento, si stabilisce definitivamente nella seconda metà del Settecento, ed è soggetta ad una critica simile a quella riservata nel ‘900 alla cultura di massa.

L’autonomia dell’estetica rientra in quel processo che, sotto il nome di “modernità” consiste appunto nella progressiva differenziazione dei saperi, per cui si distinguono la religione, la scienza, la filosofia, la storia, l’economia, l’etica, e quindi l’estetica. Ma, come era evidente dagli esempi iniziali di Machiavelli e Gibbon, anche oggi le altre forme di letteratura, oltre ai prodotti di invenzione a scopo di divertimento, possono venire apprezzate dal punto di vista estetico. E anzi, per intenzione degli autori stessi, anche la saggistica, il giornalismo, la storia, la critica, i diari, le autobiografie, aspirano a quell’apprezzamento estetico riservato alla letteratura d’invenzione. Non a caso, per esempio, Winston Churchill, primo ministro inglese nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, nel 1953 vinse il Premio Nobel per la letteratura, per aver scritto le sue memorie storico-politiche, memorie che ovviamente non vogliono essere un’opera di invenzione.

Nel ‘900 poi le arti hanno scelto la commistione dei generi e delle scritture, e vagheggiano l’idea dell’opera d’arte totale che incorpori tutte le forme d’espressione. In questa prospettiva la nozione di opera letteraria viene affiancata e sostituita da termini come “scrittura” e “testo”, che in sostanza mirano a non distinguere più fra arte e non arte.  Questo, come si è già accennato, in due direzioni. Da un lato non perché venga meno la dimensione estetica, ma appunto perché si tende ad estendere tale dimensione a tutti i tipi di discorso, con l’idea di “testualizzazione del mondo” (cioè si leggono le cose come messaggi, il mondo come un testo da interpretare) e di “esteticizzazione della vita” (cioè si vive la vita con un criterio estetico, dando importanza al piacere derivante dai tipi di esperienza), per cui lo specifico artistico, come abbiamo visto, si riversa al di fuori dei luoghi deputati, fuori dai libri, dai quadri, dalle cornici, dai musei, per espandersi nel mondo.

È qualcosa che del resto le arti applicate hanno sempre fatto, per esempio con l’architettura, ma ora ciò tende a realizzarsi in tutte le occasioni, sotto forma di pubblicità, stili di vita, teatralizzazione e performance del vissuto quotidiano (moda, design, cucina, pratiche ginniche, manifestazioni collettive, reality show, tatuaggi, piercing ecc. ). C’è per esempio un’estetica della segnaletica stradale, delle rotonde e delle aree di parcheggio, ovvero dell’arredo extra-urbano che si aggiunge a quello urbano dei lampioni e dei paracarri. Dall’altro al contrario, ciò avviene perché si dissolve la specificità dell’estetica, e le opere letterarie sono protocollate, al pari di ogni altro testo, come documentazione a sostegno di intenti di demistificazione ideologica e con presupposti e conclusioni tanto generiche quanto preordinate. In tal caso si passa da un apprezzamento della letteratura per la sua originalità, fino all’ineffabile col simbolismo, ad un uso utilitario della letteratura come documento, per assimilazione dei suoi contenuti a quelli degli altri documenti di un’epoca. Si passa perciò dall’individuazione e dall’apprezzamento dell’idioletto (originale e individuale) all’apprezzamento della collocazione nel socioletto (fungibile e collettivo).

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