Che cos’è la letteratura 12. Poetica e storia

Manhattan e Brooklin 1800

Naturalmente in ogni epoca la letteratura svolge il suo compito in maniera diversa. Nella poetica modernista del ‘900 sembra evidente che l’ambito dei valori in discussione sia, in primo luogo, la precarietà, la sopravvivenza e la ricomposizione della soggettività, incarnata nel personaggio. Nella letteratura dell’’800 la soggettività del personaggio si scontrava con le più concrete strutture storico-sociali delle comunità nazionali nella narrativa realista, e con i limiti di una finitudine esistenziale nella poesia romantica.

Nel ‘700 la soggettività, individuatasi in modo nuovo dopo il crollo della società corporata feudale, mette alla prova la libertà appena conquistata, e i valori dell’illuminismo cosmopolita propongono un soggetto che si sente euforicamente cittadino del mondo perché, dopo aver rotto teoricamente le barriere di casta, s’illude che non ci siano più barriere o confini. Prima ancora, nel feudalesimo, l’uomo comune, come servo della gleba, era tutt’uno con gli animali e la terra da lavorare, mentre l’aristocratico si riconosceva nel modello del guerriero, e nei poemi cavallereschi narrava imprese in cui la soggettività nobiliare doveva dimostrare di essere all’altezza del suo rango.

Nell’800, come abbiamo detto, il soggetto era minacciato dalla prepotenza delle strutture sociali. Con la fine delle guerre napoleoniche finisce infatti il cosmopolitismo ed emergono le letterature nazionali coi rispettivi canoni. I grandi scrittori sono quelli che in un certo senso vengono “arruolati” nel canone per contribuire alla grandezza della cultura nazionale. Lo stato di precarietà del soggetto, tipico del ‘900, sembrava invece determinato dalla pervasività delle strutture simboliche ed epistemiche che sovradeterminano la libertà dell’individuo, perciò è ad esse che si volge l’interesse della letteratura.

Lo strutturalismo per esempio è stato, tra gli altri, uno dei modi per esautorare il soggetto. Nella teoria strutturalista il soggetto è sostituito da un sistema di regole, forse addirittura universali e dunque sovrastoriche e sovraculturali, all’interno del quale è ridotto a funzione di una struttura impersonale. Così che: non è l’uomo che parla il linguaggio, ma il linguaggio che parla l’uomo. Ciò è smentito dall’evoluzione stessa del linguaggio da una generazione all’altra, da un anno all’altro, con una rapidità ormai assimilabile al mutamento delle mode stagionali. Ma anche in tempi di trasformazioni culturali meno accelerate, ci sono sempre stati registri linguistici relativi ai gruppi sociali, alle diversità regionali, alle epoche storiche, ai gerghi corporativi, la cui origine, trasformazione e diffusione era facilmente riferibile a persone, luoghi e tempi d’origine, oltre che alle invenzioni stilistiche proprie della letteratura.

Ma se nella seconda metà del ‘900 il soggetto è diagnosticato in punto di morte sotto la minaccia delle strutture antropologiche e dei codici semiotici, il dominio della soggettività, dal Romanticismo in poi, ha a sua volta deformato l’interpretazione delle opere letterarie delle epoche precedenti, quando gli interessi dominanti erano altri. Per esempio politici, nella tragedia greca, in cui si mettevano in scena i conflitti fra i diversi modi di appartenere alla comunità, ovvero come serie di comportamenti contrapposti tra il rispetto delle leggi e la trasgressione delle leggi. Per questo come dice Aristotele, la tragedia è soprattutto mythos, cioè azione, e non ethos, cioè personaggio. Il personaggio conta solo in quanto portatore di scelte che non riguardano la sua individualità, ma l’esemplarità del suo rapporto con la polis.

Così era pure inevitabile che venisse fraintesa la rappresentazione dell’amore, che, come ricorda Giorgio Barberi Squarotti (La teoria e le interpretazioni, Guida Editore, Napoli, 2005, pp.15-17), nella letteratura che precede il Romanticismo, “…è un dato di fatto, un evento immediato, improvviso, istantaneo, che non ha una storia (né prima di essersi precisato, né dopo che è insorto nel personaggio): ciò che conta è l’azione che determina o da cui è determinato, non la fenomenologia del proprio divenire psicologico. Si comprendono così elementi e dati che, a una lettura romantica, possono apparire assurdi, come l’innamoramento per fama…”. La casistica in questo senso non manca, dall’amor cortese al Decameron, fino ad esempio all’innamoramento di Desdemona al racconto delle imprese di Othello.

Oppure si dimentica che il criterio apprezzativo della letteratura prima del Romanticismo non è l’originalità, ma il principio della pienezza, per cui il valore di un’opera sta nella capacità enciclopedica di riepilogare i dati della tradizione. Si veda la casistica dell’amore nella Anatomy of Melancholy (1621-54) di Robert Burton, la doppia fontana dell’amore e dell’odio nell’Orlando furioso, la variabilità dell’amore da Romeo and Juliet a A Midsummer Night’s Dream, a Troilus and Cressida, fino al catalogo di Don Giovanni, enciclopedia dei possibili tipi femminili capaci di suscitare l’attrazione amorosa: “…sia per quel che riguarda i caratteri fisici, sia per quel che si riferisce alle condizioni sociali o alle professioni, sia, ancora, per quel che riguarda gli stati e le concezioni di vita, quale si ha nell’età barocca.”(Ibid.)

Invece dal formalismo allo strutturalismo al post-strutturalismo, dopo la morte dell’autore e del soggetto, il testo, come traccia del fluttuare del significante, sembra assumere la sacralità di un oracolo dal quale ottenere inesauribili rivelazioni, che si sovrappongono l’una all’altra in un altro tipo di autoriflessività, speculare e perpetua. L’oggetto testuale appare allora un’inafferrabile e inarrestabile serie di rimandi intertestuali, mai strutturabile in una forma e in un significato, sintetizzati nella famosa “differanza” derridiana.

In una versione tecnologica, ma che la tecnologia ha il vantaggio di rendere palpabile e quindi più comprensibile, l’opera-testo è un terreno dove s’intrecciano e da cui partono tutti i discorsi, prefigurando quella nodalità ipertestuale che inizia dovunque e non ha fine. In questa concezione il testo è un tessuto, fatto di nodi intrecciati con tutti i fili formali e ideologici che arrivano da tutte le direzioni, s’intrecciano in quella contingenza intertestuale e poi ripartono in tutte le direzioni. La differenza tra la realtà e la finzione è appunto che quest’ultima ha un inizio, un mezzo e una fine significativi, mentre la realtà no. L’ipertesto ha inizio ovunque, ma il fruitore empiricamente vi accede e vi esce in un punto, così come nella vita.

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