Prefissi: neo, trans, post, iper, sub, para, anti.

Emporio Porpora, Pre-tending, 2011

Una serie di prefissi ha dominato la nomenclatura politica e culturale della seconda metà del secolo scorso. Molto frequenti sono stati: neo, trans, post, iper. Meno usati sono ora invece: sub, para, anti.

Anti, antagonistico per definizione, è stato usato soprattutto in politica: antifascismo, anticomunismo, anticapitalismo. Sub e para denotano una gerarchia, con un senso limitante o addirittura spregiativo: le subculture sono idee, atteggiamenti e costumi vigenti in ambiti ristretti e settoriali della società complessiva. La subletteratura o paraletteratura è costituita dai generi della letteratura popolare, (romanzo giallo, romanzo rosa, ecc.) non sufficientemente elevata per raggiungere la pienezza di una considerazione critica seria.

Tutti gli altri si ritrovano invece nella denominazione di movimenti e atteggiamenti artistico-culturali, dove hanno la peculiare caratteristica di precedere, nella composizione della parola, il termine a cui invece, cronologicamente, sono succeduti. Anche l’antifascismo può venire solo dopo e in reazione al fascismo, ma l’ordine cronologico è ovvio e irrilevante rispetto al significato agonistico. Invece neo, post e iper modulano proprio il senso del venir dopo, che quindi è materia fondamentale del significato dei termini.

Per esempio la neoavanguardia degli Anni Sessanta in Italia voleva acquisire e riprendere il rinnovamento delle poetiche, iniziato dalle avanguardie europee della prima metà del secolo. Il prefisso neo designa infatti la ripresa di qualcosa che riscuote il consenso degli innovatori, anche se richiede un adeguamento ai tempi: neoclassicismo, neoscolastica, neocapitalismo. Qui dunque il tempo intima un intervento riparatore che riproduce e trasforma, senza contraddire lo spirito del fenomeno originario. Il senso del dopo e del nuovo ha natura di supplemento evolutivo.

Più neutrale tra neo e post appare trans (transavanguardia, transessuale), che designa uno spostamento qualitativo in cui ancora una volta il tempo non è pertinente. Non c’entra la storia o la gerarchia, quanto una ricerca “laterale” verso ipotesi ontologiche parallele, che coesistono accanto agli altri stati dell’essere. E’ una sorta di neo a-cronico o di post non agonistico, che rivendica la libertà di cambiare senza complessi e senza acribia.

Post indica la successione cronologica in modo letterale, e tuttavia è meno comprensivo di neo verso i fenomeni a cui succede. Esprime un senso di sufficienza verso i movimenti superati che, come tali, hanno perso quella sostanziale validità che veniva invece riconosciuta dai neo. Ciò non avviene subito: per esempio postimpressionismo, pur segnando un distacco significativo dall’impressionismo semplice, non ha una connotazione distintiva militante e avversativa.

Il più noto e attuale dei post è ovviamente il postmodernismo. Qui il post, anche perché recente, si nutre ancora di molta ambiguità e ambivalenza nei confronti del modernismo, col quale condivide molti caratteri. Per questo alcuni sostengono che, al di là del successo della nuova denominazione, non vi sia fra i prodotti culturali del modernismo e del postmodernismo una dimostrabile differenza morfologica, ma solo un diverso atteggiamento ideologico. Il che non sarebbe comunque una distinzione da poco.

Tuttavia la nozione che il postmoderno segnali una realtà culturale e politica del tutto originale, pur radicata ovviamente nel mondo che lo ha preceduto, sembra prevalente, e forse, avvalorando l’idea che il “dopo” debba essere necessariamente diverso dal “prima”, contraddice la cosiddetta morte della storia, che della postmodernità è uno dei postulati.

In sostanza il modernismo predicava il succedersi incessante delle  avanguardie, e comportava la negazione del valore attuale degli stili del passato. Esso però sembra rifiutare di farsi sostituire da ciò che lo segue, e pretende di sopravvivere nel suo post. Il postmoderno accetta invece, sincronicamente, il valore di tutti gli stili e, abolendo la linearità della storia, in pratica la riattualizza totalmente nei suoi artefatti. Ma quando si tratta di staccarsi dal modernismo, rivendica a sua volta una cesura rispetto al passato, negando così il persistere sincronico del prima e del dopo.

Una proposta, che vorrebbe comporre la controversia, ma non sembra però attecchire, è quella che avanza il termine ipermodernismo in luogo di postmodernismo, per segnalare solo uno sviluppo dimensionale di caratteri già presenti nella modernità. In tal modo perveniamo alla funzione del prefisso iper.

Iper è più snob di super, che è ottocentesco (superuomo) o bassamente tecnico (supermarket, superattico, supersonico). E’ infatti l’ultimo arrivato tra i prefissi alla moda. Va da iperrealismo a ipertesto, a ipermerce (che non si vende all’ipermercato, ma forse sì).

Esso sembrerebbe un indicatore quantitativo, per significare un accrescimento: è la stessa cosa di prima, ma arricchita e sovradimensionata per qualche aspetto. Tuttavia ben presto, e giustamente, libera la pretesa che, oltre un certo limite, la quantità diventa qualità. Così, quasi inaspettatamente, diventa il prefisso più innovativo, fino a scomparire, laddove l’inorganico si trasforma in organico, il robot in cyborg, oppure ricade nel post: postumano.

Leonardo Terzo

 

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