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Leonardo Terzo, Augmented Reality?, 2011

A partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, critici della cultura, sociologi, filosofi e storici si sono sforzati costantemente di trovare un’etichetta per contrassegnare la nuova contemporaneità, dal momento che il concetto di postmoderno appariva usurato e inutile, seppure avesse mai avuto un’utilità più che effimera, essendo nello specifico un termine rifacentesi alla modernità perduta, ma ellittico quanto alla capacità di indicare in positivo in che consistesse il dopo.

L’idea di “società dello spettacolo” risaliva addirittura al situazionismo anni sessanta di Debord (1967). Perciò, pur molto condivisa, non era adatta a contrassegnare il nuovo. Paradossalmente non era più abbastanza spettacolare.

C’è stato allora chi ha proposto “il tempo delle tribù” (Maffessoli), chi “la società liquida” (Bauman), chi l’idea di post-umano (Katherine Hayles e altri), a seguito della fantascienza cyberpunk. La “fine della Storia” è finita ancor prima di cominciare, e infatti ha coinciso con la fine del “Secolo breve”. La realtà virtuale, in gran voga verso fine secolo, in meno di dieci anni ha perso il suo fascino e non ha trovato ancora un impiego incisivo, rivelando la rozzezza di Second Life e riducendosi  ai cosiddetti social network come Facebook e simili, che più che società alternative sono un’alternativa alla società.

“Globalizzazione” è stato il termine più corrente, ma ci si è accorti abbastanza presto che indicava, ed era, una condizione relativa ai mezzi, (cosa in sé fondamentale come vedremo), ma, in quanto strumentale, era applicabile a tutti gli usi, dalla diffusione della democrazia alla diffusione dello sfruttamento tramite delocalizzazione, fino alla truffa mondiale, in cui di globale c’era solo l’inquinamento del credito. Ma appunto per questo  si è visto che la cosa non funziona in modo uniforme, per cui è facile globalizzare la crisi e difficile o impossibile globalizzare la democrazia. Senza parlare dell’Africa, persino nel mondo tecnologicamente interconnesso è insomma una globalizzazione limitata e circoscritta.

Senza avere la pretesa di dare un’interpretazione totalizzante, io avevo modestamente notato (Pornografia ed episteme, Arcipelago, Milano, 2004) che non solo la spettacolarità, ma anche altri tratti caratterizzanti il senso e lo stile di vita della società della comunicazione globalizzata erano basati sui meccanismi epistemici (cioè relativi all’orizzonte del sapere teorico e pratico disponibile in una determinata epoca) della pornografia, che è appunto quell’ambito culturale fondato sul discrimine fra pubblico e privato.

La pornografia (intesa qui in senso descrittivo e non apprezzativo) in primo luogo consiste infatti nel mostrare in pubblico ciò che per costume culturale è privato. Intorno a questo principio se ne aggregano e se ne sviluppano conseguentemente altri. Accanto all’estroversione del privato in pubblico, fra i più evidenti, abbiamo la rivincita dell’erotica sull’ermeneutica, la permutazione politica e culturale, e infine la ri-mediazione, con ricadute di natura ontologica.

Cominciando dell’estroversione del privato nel pubblico, vediamo che la natura esibizionistica del comportamento sessuale divenuto pornografia si trasferisce a tutti i comportamenti. Osservare di nascosto qualcuno a sua insaputa assume un’aura “a luci rosse” anche se il soggetto spiato sta solo bevendo un bicchier d’acqua. Così lo sbracamento con liti e insulti in qualsiasi contesto televisivo produce lo stesso piacere voyeuristico, anche se applicato alla cafonaggine invece che al sesso, purché osservato da un equivalente del buco della serratura, che diventa un format di successo.

La disinibizione vuole inoltre passare per realismo e infatti abbiamo i cosiddetti reality show. Il realismo letterario nasce più o meno ufficialmente nel Settecento con l’intento di documentare i caratteri della modernità borghese, e opere di finzione come Robinson Crusoe o Moll Flanders fino al Gordon Pym in pieno Ottocento, cercano di passare come storie vere. Nel reality show l’interesse documentario si riduce a voyeurismo quotidiano che naviga tra due estremi. Uno è la noia, perché in tali trasmissioni può anche non succedere niente, e allora coreografi e sceneggiatori ben nascosti costringono i partecipanti a recitare trasgressioni, per lo più di aggressività e sesso. L’altro è un effetto della percezione ravvicinata. E qui già  Swift, nei Viaggi di Gulliver, ci aveva dimostrato che osservare l’umanità troppo da vicino ci obbliga a vedere i suoi lati più schifosi. Il falso privato esposto nel falso pubblico diventa meta-realistico perché ci fa capire come veramente è selezionata e costruita la finta realtà tutti i giorni. Ma poi, quando per qualche accidente come le intercettazioni telefoniche abbiamo accesso a frammenti di verità, ci accorgiamo che la verità è peggio del reality show, per quanto pornograficamente concepito.

Ad ogni modo, a partire dalle torture di Abu Ghraib nulla avrebbe avuto la stessa risonanza mediatica e quindi geo-politica se le torture non fossero state ammantate dal sensazionalismo sessuale. E se non fossero state registrate in foto e cd. Le torture ci sono dovunque nelle prigioni in guerra e in pace, ma solo se entrano nella comunicazione esistono e provocano reazioni. A valori capovolti l’attuale governo non condanna i reati commessi dal presidente del consiglio per condizionare le istituzioni di garanzia, bensì il fatto che quei comportamenti illegittimi siano diventati pubblici per le intercettazioni.

La prima ricaduta ontologica è appunto questa: si esiste, nel bene e nel male, solo se si appare in qualche titolo della stampa o in qualche schermo, dalla tv al telefonino, a YouTube. Non importa se l’apparizione è pornografia fai da te o l’auto-documentazione di un reato, quindi con eventuali conseguenze penali, l’importante è esserci e vedersi. Si esiste solo nella rappresentazione.

Poiché la comunicazione visiva integrata nel computer con tutti i mezzi precedenti (telefono, radio, cinema, televisione, magnetofono, videoregistratore, videocamera) privilegia la sfera del sensibile rispetto a quella dell’intelligibile, nel vissuto della comunicazione la fruizione sensoriale e quindi erotica si prende la rivincita sulla parola e sull’interpretazione intellettuale del significato, che aveva dominato la cultura occidentale a partire dall’invenzione della scrittura, con conseguente preminenza dell’anima o dello spirito o della mente sul corpo. Qui mi pregio di dare una definizione della spettacolarità, che è quella modalità della comunicazione in cui vi è un eccesso di significante rispetto al significato: si vede molto, ma da capire c’è poco.

Un altro aspetto generalizzato è la permutazione. In un film pornografico, prima o poi tutti hanno un rapporto sessuale con tutti gli altri e con tutte le parti del corpo, allo stesso modo nella vita reale o immaginaria, le coppie vip sui giornali di gossip passano da un partner all’altro, i calciatori passano da una squadra all’altra, gli uomini politici passano da un partito all’altro, i partiti passano da uno schieramento all’altro, gli stati passano dal novero degli stati canaglia a quello degli alleati e viceversa, i cibi entrano ed escono dalle diete, i dirigenti d’impresa si trasferiscono da un’azienda all’altra, gli individui passano da un sesso all’altro, e così via.

Infine abbiamo la ri-mediazione, cioè la necessità di riadattare la vita all’irruzione dei nuovi mezzi. La comunità si forma tramite la comunicazione, che a sua volta passa su dei mezzi, così chiamati perché mediano tra noi, i nostri simili e il mondo materiale. Ci siamo adattati all’uso della lingua, del fuoco, della ruota, dell’aratro, del treno, del telefono, della radio ecc. e ora usiamo tali mezzi senza percepire la loro funzione di interfaccia con l’altro da noi e persino con noi stessi. Essi sono costitutivi della nostra identità sociale, ma è come se fossero invisibili. L’intrusione troppo rapida di nuovi mezzi, li ha resi invece di nuovo opachi, cioè li percepiamo come tali e come barriera artificiale e in parte ancora artificiosa rispetto alla vita “naturale”. Diventa opaca anche l’economia espressiva del mezzo, che veicola certi tratti del significante e non altri (voce, immagine, spazi, suoni), e che per esempio crea la nuova lingua degli sms, o l’inglese di internet.

La coscienza del mezzo tra noi e gli interlocutori fa sì che noi abbiamo presente come destinatario della comunicazione il mezzo e non più direttamente le persone. Ma questa è esattamente la situazione pornografica, in cui gli attori impegnati nel coito, non lo agiscono a vantaggio del rispettivo partner e nemmeno per il proprio piacere, ma a vantaggio del punto di vista del mezzo, perché il destinatario della recitazione pornografica è la macchina da presa e attraverso di essa lo spettatore della ripresa. Presto per le nuove generazioni i mezzi attuali diventeranno di nuovo invisibili, la vita non avrà più quella spettacolarità artificiosa ora percepita, ma per giungere a questo occorrerà diventare un tipo diverso di animale umano.

Leonardo Terzo

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