La crisi: come andrà a finire? By Charly 45

La crisi. Come andrà a finire?

Si ritorna  a scrivere della crisi. Perché ?  Perché sta accadendo qualche cosa di prevedibilmente delicato:
–  le elezioni prossime hanno avviato la corsa al voto;
–  la corsa al voto esalta l’approccio alla comunità, per attrarre l’interesse del maggior numero di votanti;
–  gli aventi diritto al voto cercano, non senza preoccupazioni, di capire per chi votare e con quali motivazioni. Per la propria tasca? Per un’ideologia ? Per il proprio futuro incerto? Per il futuro ancor più incerto dei propri figli ? Per la propria vecchiaia ? Per cercare di neutralizzare le idee più nocive?Altro?

Quindi di tutto un po’, e proprio su questi dilemmi i concorrenti cercano faticose combinazioni e convergenze per attrarre consensi. Il tutto si tramuta in programmi (che la maggioranza dei votanti mai leggeranno) poi sintetizzati in concetti di massima, divulgati attraverso tutti i mezzi, per raggiungere il maggior numero di persone e carpirne l’attenzione e il voto.

Molti concetti nobili, molti concetti, molte liti, molto insomma.

E per l’economia chi vota? Tutti e nessuno parrebbe di capire, forse perché l’economia è faticosa da capire, e costringe a considerare variabili che corrompono anche le migliori costruzioni.
Quindi meglio impoverire ( tendenzialmente) in modo ordinato, o preoccuparsene il meno possibile e lasciare che sul campo si verifichino le affermazioni degli economisti (che non piacciono)?

Cerchiamo di capire per quanto possibile.

La premessa: abbiamo un debito pubblico molto consistente, di gran lunga superiore ad un anno di PIL. Ne deriva:
–  la necessità di arrivare ad un pareggio di bilancio per non dovere più aumentare con nuovi prestiti il debito pubblico stesso;
–  la necessità di ottenere sempre il rinnovo dei titoli in scadenza per evitare effetti deleteri sulla vita quotidiana (remunerazione ai dipendenti statali, pagamenti delle pensioni, crisi del welfare, e così via, tenendo conto che il sistema bancario detiene parecchi titoli di stato);
–  la necessità di tenere sotto controllo l’onerosità del debito, vista l’incidenza notevole delle variazioni, seppur contenute, dei tassi di interesse applicati .
–  la necessità di assicurare gli investitori del relativo grado di sicurezza di rimborso alla scadenza dei titoli:

Queste sono considerazioni ricomparse inevitabilmente nei ragionamenti dedicati agli elettori: non farne cenno sarebbe irresponsabile. D’altro canto, vero è che una ripresa dell’economia aiuterebbe a migliorare una situazione che ha raggiunto il limite della sostenibilità per coloro che pagano le imposte secondo la propria capacità di reddito.

Come riavviare, o stimolare l’ economia? Considerata la premessa, la risposta non è semplice.

Come si diceva in uno dei primi ragionamenti riguardanti la crisi:
–      bisognerebbe riavviare la propensione al consumo in generale, ma questo contrasta con le politiche rigorose tendenti al pareggio di bilancio, perché le disponibilità di reddito da dedicare al consumo (da parte dei pagatori di imposte abituali e coerenti con le disposizioni di legge) vengono sempre più ridotte dall’imposizione (a senso unico  nel breve periodo) dell’inevitabile rigore per raggiungere il pareggio di bilancio.
–     D’altro canto, prospettive di aumento di ricavi da parte dei singoli non sono immediate nella attuale situazione economica.
–   Stimoli derivanti da interventi pubblici trovano ostacolo nel conseguente aumento del debito pubblico (non consigliabile in termini di entità degli interventi necessari  considerandone le conseguenze).
–  La riduzione della propensione al risparmio a favore dell’incremento di quella al consumo in pratica si è già verificata per una parte dei consumatori meno abbienti, non solo riducendo la propensione al risparmio, ma anche intaccando i risparmi per non ridurre troppo violentemente il tenore di vita, ovvero per poter tamponare l’esaurirsi delle risorse che si formano nel breve per l’attività lavorativa o per la pensione.
–  La complicazione sta inoltre nel fatto che quasi tutti i paesi fino a poco tempo fa avanzati, si ripiegano su se stessi a causa della competizione internazionale derivante da Paesi con sistemi di welfare latenti o comunque di minor impatto sui conti di quelli più avanzati (almeno detti così fino a qualche anno fa). Ciò significa che le produzioni si spostano nei paesi che producono a bassi costi, altamente ricercati dagli imprenditori dei Paesi consumatori (che sono proprio quelli più o meno in crisi).

Questa delocalizzazione, combinata con processi produttivi anche tecnologicamente avanzati porta:
–  alla riduzione delle produzioni tendenzialmente ad alta intensità di mano d’ opera  nei paesi ad alto consumo;
–  alla necessità di intervento in tali paesi degli ammortizzatori sociali;
–  al conseguente impatto negativo sui conti pubblici soprattutto per i paesi con i bilanci non in pareggio;
–  alla riduzione dei parametri macroeconomici congiunturali;
–  alla necessità di  interventi di riequilibrio del bilancio dello stato dove vi è un debito pubblico troppo elevato;
–  ad aumenti dell’imposizione con penalizzazione delle classi intermedie;
–  alla riduzione dei consumi e della propensione al risparmio proprio perché aumenta il reddito al pagamento delle imposte di riequilibrio di bilancio;
–  quindi all’ulteriore peggioramento della situazione economica;
–  all’avviamento di un processo che impedisce il rilancio della economia;
–  all’impellente necessità di ridurre gli sprechi e l’economia sommersa: cose non facili da  attuare nel breve / medio periodo.
–    d’altro canto la riduzione dei consumi derivante da questa situazione è tendenzialmente simile in tutti i paesi ad alto consumo per cui questa stretta ha ripercussioni a livello globale e comporta un rallentamento sensibile e generalizzato del sistema economico globale (che allarga la crisi).

Come uscire da questa situazione?

Provando a congetturare un sistema coordinato si potrebbe:
–   incoraggiare i Paesi ad elevata credibilità internazionale a sostenere le propensioni al consumo interno con interventi di sostegno miranti ad aumentare in modo controllato il loro debito nell’ambito di un bilancio il più prossimo possibile al pareggio;
–  non aumentare ulteriormente la pressione fiscale per non comprimere ulteriormente i consumi;
–    pensare a sistemi di riduzione / controllo del debito pubblico legato alle garanzie collegabili  con i beni del patrimonio dello stato (alienazione dedicata a tale fine, anche se non facile da realizzare data la difficoltà delle procedure e i vincoli connessi) ;
–  cercare di avere nel breve delle imposizioni indirette sul sommerso, realizzando accordi con gli stati depositari dei patrimoni del sommerso, quindi con  imposizioni una tantum per sanare il passato e poi annuali per farne beneficiare il bilancio dello stato (questo forse un male necessario transitorio);
–   esaminare in modo approfondito gli sprechi, eliminando nel breve quelli che alimentano la sterilizzazione di disponibilità non immesse nel ciclo del consumo, razionalizzando e riequilibrando poi in modo adeguato (quindi non più sprechi dovuti all’eccesso di remunerazione) quelli che comunque alimentano il consumo attraverso i loro percettori;
–   cercare di differenziare a livello globale l’indebitamento dedicato all’investimento rispetto a quello di finanziamento delle spese di consumo, in modo da valutarne (almeno fino al pareggio di bilancio) l’aliquota di partecipazione al debito totale (poi da fare valere nei confronti della finanza internazionale);
–  combattere l’evasione fiscale in genere e quella che alimenta la sterilizzazione di risorse in particolare, in modo costante ed adeguato.

Poi alla base di tutto ci saranno le scelte della maggioranza che uscirà dalle elezioni,  ma per tutti la strada del risanamento del paese non può prescindere da queste considerazioni. L’ importante, durante la campagna elettorale, sarà non dimenticarsi della situazione del Paese e non promettere ciò che poi non potrà essere mantenuto.

Charly 45

 

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