Tanz, il film di Wim Wenders su Pina Bausch, e la deriva dell’arte contemporanea.

Pina Bausch in Café Muller.

Ho visto il film di Wim Wenders su Pina Bausch, e lo consiglio a due categorie di persone: agli amanti della danza, naturalmente, e a chi vuole capire l’arte contemporanea. Non sono un esperto di danza in particolare, ma appartengo certamente alla seconda categoria.

Vedendo il film mi sembra di avere intuito che la danza moderna nella versione di Pina Bausch è particolarmente significativa, anche perché riepiloga molte tendenze dell’arte contemporanea. Questo è dovuto al fatto che le arti visive diventano sempre più performative come il teatro e la danza appunto; si delocalizzano, nel senso che escono dai musei, e l’allestimento ambientale e coreografico delle mostre diventa persino più importante delle opere (o meri oggetti?) esposte. Questo riepilogo è infine favorito dal fatto che la danza è l’arte più vicina al rituale, da cui tutte le arti sono scaturite.

Nella danza inoltre è preminente il rapporto con la musica, e il gesto esclude la parola. Non so se la danza nasce come gestualità stimolata dalla musica o la musica è stata poi accompagnata alla gestualità per favorirne l’espressività; ma senza il canto, i gesti del corpo sostituiscono la parola. Forse anche per “presentare” ciò che la parola non sa dire.

A dire il vero questa mi sembra piuttosto una tentazione “romantica”, che peraltro si fa palpabile quando nel film i ballerini raccontano, inevitabilmente in parole, il “sentire” che la Bausch richiedeva per una maggiore creatività ed espressività nel lavoro.  A confronto con lo spettacolo danzato, le parole dei protagonisti finiscono per sembrare povere.

È poi importante chiarire che l’immagine non dice, bensì rappresenta. La semiotica ha opportunamente spiegato questa differenza, relativa al rapporto tra significante e significato, che nella parola è arbitrario, mentre nell’immagine no. Perché l’immagine somiglia a ciò che rappresenta, pur non essendo ciò che rappresenta. La parola non somiglia a ciò che significa, e il legame col significato è stabilito per convenzione, accettata da tutti coloro che conoscono la lingua. A questo occorre aggiungere che la danza, in quanto arte, è autoriflessiva e polisemica, mentre il commento degli attori sul loro rapporto con Pina è referenziale.

La danza, secondo la definizione di Susan Langer (Problemi dell’arte, Milano, Il saggiatore, 1962.) piega il tempo (lineare, cronologico e mortale) ai ritmi della vita, imitandone i gesti in maniera stilizzata. Questo vale per il balletto, come per la discoteca, la balera o le feste in famiglia. La stilizzazione, nella danza classica, sulle punte e in tutù, si è istituzionalizzata in un repertorio preciso, in un linguaggio di posizioni e di passi: convenzioni note che peraltro non impediscono l’invenzione e la novità.

Abbandonando la formalizzazione semantica della danza classica, la danza cosiddetta moderna, da  Isadora Duncan (suppongo) alla Bausch, recupera una gestualità propriamente ordinaria, che si sofferma sull’agire e gestire utilitario, per poi trascenderlo però come è d’uso nell’arte, finendo per ricreare a sua volta un nuovo repertorio, pur meno convenzionale, di gesti immediatamente riconoscibili come stile di Pina Bausch.

Questa estensione delle stilizzazioni danzate dal classico al moderno è anche una “democratizzazione”, che accoglie l’agire normale, ma anche quello che definirei idiosincratico, per mancanza di altra terminologia, apparentemente senza scopo, che assume così anch’esso una cittadinanza e un’aura artistica. Ciò è avvenuto in tutte le arti contemporanee, che hanno accolto in sé tutta la fenomenologia delle forme e dei temi, abolendo ogni selezione e giudizio apparente e condiviso. Come si sa, per esempio il gruppo Fluxus tende a considerare arte ogni atto della vita quotidiana in un’indeterminazione assoluta.

Nelle cosiddette arti visive, l’abbassamento appare tuttavia tutt’altro che democratico, anche se persino troppo comprensibile. La produzione, commercializzata per chi può permetterselo a suon di milioni di dollari, si riduce spesso ad esibizione di cose che chiamerei “scherzetti”.

Vedi i prodotti di Cattelan e della sua organizzazione: il dito medio, il meteorite che colpisce il papa, il cavallo appeso al soffitto, proprio in questi giorni tutti appesi al Guggenheim Museum di New York, come lampadari o calze della Befana, in una coreografia che è più interessante delle cose in mostra.

Vedi pure le cose e le azioni di Vanessa Beecroft: per esempio la madonna coi gemellini neri al posto del bambino. Tutte soluzioni  che aspirano ad essere provocazioni e mirano a stupire nell’immediato, affondando poi nell’ovvietà ad un secondo sguardo, quasi come una barzelletta già sentita.

La danza moderna di Pina Bausch mantiene invece una serietà ed un’austerità rigorosa, capace di coinvolgere intensamente lo spettatore senza rinunciare, quando è richiesta, alla lucidità ludica,  gestita invece spesso male dalle arti, come nei due casi citati, oppure sacrificata ad una versione masochista nelle performance auto-punitive di Marina Abramovic e altri.

La danza di Pina Baush mette in luce che la coreografia generale, e i movimenti di gruppo, accedono ad una maggiore potenzialità inventiva, mentre nei passi a due la dimensione stessa della coppia implica minori possibilità.

Anche i movimenti collettivi sono adottati dalle performance organizzate della Beecroft e altri. Sintomo della loro povertà è il fatto che le sfilate o le mandrie di esseri umani fatti spostare in luoghi aperti o chiusi a comando, avvengono sempre nella nudità totale, sparsa come una spezia ormai abitudinaria  per cercare di dare sapore a qualcosa altrimenti insipido.

Pina Bausch non ha bisogno di ballerini nudi. Nelle sue creazioni l’erotismo non si esibisce con le parti sessuali, ma si scioglie nello stile per riemergere sotto forma di forte passionalità intellettualizzata e mista ad una varietà di altri sentimenti e atteggiamenti.

Un altro aspetto comune, come ho detto, è la delocalizzazione che fa uscire i danzatori dal teatro. A mio parere tuttavia, la danza all’aperto, pur ottenendo sempre effetti notevoli, in particolare in questo film nella coreografia situata nei vagoni della ferrovia aerea, che unisce esterno ed interno, non ha mai la perfetta “intensità nella varietà” che la Bausch riesce a raggiungere per esempio nella scena in interni, intitolata “Café Mueller”, fatta di sedie e tavolini, tutta nera o grigio scuro. Vedi:

http://www.youtube.com/watch?v=Jm70fMM3JAk

http://www.youtube.com/watch?v=oYXjk_qn3cQ

La sua efficace delocalizzazione e reinvenzione porta ad un nuovo manierismo, detto in senso non negativo. Esso aiuta lo spettatore a comprendere, pur diminuendo il tasso di estraniamento. Io non sono un conoscitore e un seguace assiduo dell’evoluzione della Bausch, ciononostante ora riconosco più facilmente i suoi stilemi, alcuni almeno. In certi brani il pubblico in sala seguiva con partecipazione e reazione emotiva l’azione. Un’azione che riusciva ad esprimere delle tensioni propriamente narrative, anche se disarticolate da trame e personaggi definibili, e a-storicamente situate in un mondo imprecisato, se non per il fatto di essere umano.

 Leonardo Terzo

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