I pittori mi piacciono tutti, ma questi li preferisco.

Leonardo Terzo, This Is My Substitute for Pistol and Ball, 2006

I pittori mi piacciono tutti, ma questi li preferisco: Giorgione, Brueghel il vecchio, Goya, Turner, Ingres, Van Gogh, Chagall, Schiele, Grosz, Magritte, Music, Kline, Banksy, Me stesso.

La Tempesta del Giorgione (1477-1510), databile tra il 1506 e il 1508, nella dislocazione dei suoi elementi pone ai margini laterali gli esseri umani, identificati da Salvatore Settis come Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso. Al centro abbiamo invece uno scalare di piani di un paesaggio, prima naturale e poi urbano, colto nell’istante in cui viene illuminato dal fulmine, che rappresenta l’ira divina. Dopo la prima impressione ci si accorge che gran parte del fascino di questo celebrato dipinto sta proprio nel fatto che dal primo piano delle immagini laterali ci si inoltra sempre più profondamente verso il centro, che nello stesso tempo è sfondo e oggetto della rappresentazione. Ci si accorge che ciò che è laterale e in primo piano è cronologicamente l’origine (la cacciata dall’Eden) dell’edificazione della città dell’uomo, che è lontana nel futuro oltre il piano intermedio della natura. Questa prospettiva, che è pienamente realistica, diventa così allo stesso tempo distribuzione allegorica del tempo umano della Storia.

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Peter Brueghel il vecchio (1525-69), nel quadro che rappresenta La mietitura, del 1565, mostra una natura generosa e ricca, resa feconda e figurativamente esaltante dal lavoro umano. Qui non abbiamo la città: pochi edifici si intravedono sul fondo da un lato; abbiamo invece un campo di grano e alcuni lavoratori che ancora mietono, mentre altri si riposano e pranzano o dormono all’ombra protettiva di un grande albero. Non vi è rappresentazione più forte e meno arcadica di questa dell’integrazione fra natura, tecnica e umanità.

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Francisco Goya (1746-1818) è un artista straordinario in tutti i generi, capace di raffigurare la realtà e il mito, i ritratti formali ed eleganti come gli orrori della guerra o il tribunale dell’inquisizione, con la caricatura feroce o la precisione dell’entomologo. Anzi, inventerei per lui il termine “ontomologo” perché esalta con caparbia fedeltà, a corte come nelle strade, la bellezza e la bruttezza di chiunque gli chieda un giudizio “visivo” spietato o compassionevole. In questa immagine di fucilazione, la camicia bianca della vittima al centro, con le braccia levate, si offre ai colpi dei fucili, ma colpisce il nostro sguardo come un lampo di rivolta indomabile.

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L’inglese William Turner (1775-1851), sebbene operante nell’800, è un precursore, perché il trattamento a cui sottopone le sue visioni, sia del paesaggio naturale sia di quello urbano, anticipa romanticamente la poetica dell’informale. Nelle sue opere lo spazio, agitato da grandi forze cosmiche, travolge e distrugge i suoi contenuti, in una trasfigurazione aggressiva che si perde nell’infinito e attinge al sublime.

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Diversamente da Turner, che è un romantico deflagrante, Jean Auguste Dominique Ingres (1780-1867) è un neoclassico consapevole che rivendica la sua ascendenza rinascimentale con risultati di intensa precisione e lucidità. Ammaliati dalla perfezione delle sue figure, alcuni critici moderni vorrebbero vedere in lui l’espressione (vellutata?) di un diverso tipo di romanticismo, perché nell’osservatore incantato i suoi quadri promuovono, con l’equilibrio e la stabilità, la stessa partecipazione emotiva che i romantici ottengono coi contrasti e la dismisura. Capiamo così che il retroterra storico e culturale dell’arte riempie del suo significato le opere e gli stili, ma la bellezza le reinterpreta e le riattualizza come significante di un significato totale. Questo nudo è stato imitato dal surrealista e dadaista americano Man Ray in una famosa fotografia intitolata appunto “Le violon d’Ingres”, 1924.

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Van Gogh (1853-1890) è così popolare e attuale che credo sia negli occhi di tutti con più affetto e immedesimazione che non Picasso o chiunque altro. Perciò, nonostante la riproduzione commerciale delle sue opere in tutti i formati e in tutte le situazioni, non perde la sua aura di grandioso istinto creativo. La sua visualità è anti-intellettualistica senza scadere nella visceralità: un cielo, una faccia, un fiore, un ponte, una sedia o un paio di scarpe vecchie suscitano egualmente la sua capacità di fissare ogni particolare del mondo in un alone di esaltante panteismo materialistico. Riflettendo su di lui e sulla sua vita fino al probabile suicidio, voglio pensare che le sue sofferenze siano state in qualche modo alleviate dalla sua arte. Qui, Veduta di Arles, 1889.

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Di solito Marc Chagall (1887-1985) sembra trasferire in visioni di sogno precise scene del folklore ebraico. Poiché ignoro quasi sempre il loro significato iconologico, ciò che mi affascina è la magia dei colori e l’abolizione della razionalità prospettica, sostituita dalla fluidità onirica. Cose, animali, persone i cui corpi, o addirittura parti del corpo, fluttuano nel cielo o nell’aria, e instaurano fra loro misteriose dislocazioni e ironici intrecci. Qui ho scelto “Il poeta delle tre e mezza”,1911. Si tratta di un uomo elegante, seduto ad un tavolo, che sorseggia da un bicchiere mentre scrive dei versi su un taccuino. C’è anche un gatto e una bottiglia. Diversamente dal solito prevalgono le linee rette e gli angoli e anche i colori, bianco, blu e rosso, con due tocchi di verde, sono prevalentemente separati. Perciò si può pensare ad una commistione di cubismo e surrealismo in un contesto semantico moderno e laico, invece che religioso e tradizionale.

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Egon Schiele (1890-1918) si caratterizza per un erotismo “nervoso”, dove il nervosismo del tratto e le insolite pose dei corpi trascendono e quasi neutralizzano l’erotismo stesso. Il disegno è incisivo e prevale sul colore che tuttavia produce un effetto di giusta compiutezza. Esso infatti ci dice che si tratta di arte, e l’arte vince sulla realtà. La testa più scura reclinata in avanti sembra voler attirare l’attenzione su di sé, attenuando col colore più pallido, eppure così vero della pelle, il nudo della schiena. Per capire la poetica di Schiele si può paragonare la perversa “castità” di questa schiena alla sensualità delle immagini già viste di Man Ray e di Ingres.

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I pilastri della società, 1926. Raffigura un prete, un militare (probabilmente un reduce), un politico, un giornalista e un militante. Nell’intenzione di George Grosz (1893-1959) in questi personaggi, che raffiguravano i gruppi di potere dominanti all’epoca in Germania, stava la matrice di quello che poi divenne lo Stato nazista. Il genere è la caricatura, ma un’inquietante aggressività gela il ridicolo in una sinistra minaccia.

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René Magritte (1898-1967).
Il surrealismo ha due estremi: quello furfantesco e compiaciuto di Dalì, e quello incomparabilmente intellettuale di Magritte, che opera con un’elettrizzante carica di curiosità esplorativa. Fra le tante immagini, più famose, che sono stato sul punto di proporre, alla fine ho scelto questa, intitolata “Il telescopio”, che dimostra come l’emotività si possa mobilitare senza spettacolarità e senza sentimentalismo.

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Zoran Music (1909-2005), goriziano sotto l’Austria, e poi italiano a Venezia, fu deportato a Dachau nel 1944 e liberato nel 1945. Durante la prigionia riuscì a fare dei disegni che anni dopo utilizzò, coi ricordi, per una serie di opere intitolata “Non siamo gli ultimi”. La sua arte osservata con una sensibilità consapevole fa capire che il piacere estetico non è un divertimento  spensierato e superfluo, bensì una compenetrazione adeguata di occhi e cervello per la comprensione delle configurazioni del mondo. I disegni dei cumuli di cadaveri nei lager piacciono proprio perché ci impediscono di dimenticare i massacri, oltre lo shock del momento.

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La pittura di Franz Kline (1910.1962) è fatta di grandi segni neri di forti pennellate prodotte dalla corporeità dell’esecuzione. La gestualità crea un’emanazione dell’identità fisica del pittore. Per dare un’idea della perspicuità spaziale dell’ Action Painting di Kline, dentro e fuori dalla cornice, è opportuno vedere i suoi quadri oltre i limiti dei dipinti, nella cornice delle pareti e poi ancora degli spazi espositivi. Perciò l’immagine è di una parete nella galleria di Stephen Foster (26 Hillside Rd. New London). La gestualità esecutiva propriamente fisica è evidente in Kline più che in Pollock, la cui tecnica è il dripping, che è un’altra cosa, anche se entrambi vengono considerati parte dell’espressionismo astratto. Oltre le intenzioni di Kline e dell’action painting, questa tecnica ha poi favorito l’evoluzione verso le performance, che abbandonano del tutto le superfici e la pittura stessa e si riducono all’esecuzione. Dopo la quale però lasciano più o meno il resto di niente.

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Probabilmente oggi Banksy, che è uno pseudonimo (Bristol, 1974), è il pittore vivente più famoso nel mondo occidentale, e uno dei pittori di strada che, come Basquiat, ha più contribuito ad emancipare questo modo di essere artisti. Oggi ci sono persino visite guidate nelle strade di Londra, per vedere le opere sempre nuove nate nella notte. Come ho già scritto altrove Banksy sa utilizzare tutti i fattori delle funzioni dell’arte: celebrazione, ironia, concettualismo, uscita dai limiti delle cornici e dei luoghi, invenzione inattesa, armonia formale, giocosità infantile, felicità socializzante e satira spietata. Qui la Morte che rema sulle acque, con povertà di mezzi e ipnotica iconicità, volge la burla trasgressiva in serietà. Mi rammenta il “Caron dimonio” di Dante, o Il settimo sigillo, di Ingmar Bergman.

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Leonardo Terzo, 1940. Il mio quadro è quello all’inizio dell’articolo, ed è intitolato “This Is My Substitute for Pistol and Ball”.  Il titolo è una frase dal primo capitolo di Moby Dick, e significa che il personaggio sostituisce un’azione (nel caso specifico era il suicidio) con un’altra (il viaggio). Fuor di contesto l’ho usata per significare che il meccanismo dello spostamento, tipico delle figure retoriche (allegoria, simbolo, sineddoche, ecc.) è il fondamento dell’arte, che infatti sposta la realtà nella finzione. Il quadro è costituito dai ritagli di una pagina dattiloscritta di un mio saggio che sono stati incollati sul fondo cartaceo con una disposizione che vuole essere un rimescolamento in forma di onda di parole. Il collage è stato poi fotografato e riversato su tela in laboratorio in dimensioni 100×70 cm..

 

Huntley, the lawyer for the plaintiffs said in an interview this www.writemyessay4me.org month