Destra e sinistra, nuove vecchie considerazioni.

Riporto due brevi interventi del 2002 ancora attuali. Cultura, destra e sinistra. (Leonardo Terzo, 18 maggio 2002) – Nuove prospettive di destra e di sinistra. (Blore Smith, 10 ottobre 2002)

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Cultura, destra e sinistra. (Leonardo Terzo, 18 maggio 2002)

Da un punto di vista antropologico, ogni oggetto, idea o comportamento è un fatto culturale, sia esso uno sgabello, o l’abitudine di stringersi la mano, o le camere a gas dei nazisti. Da un punto di vista apprezzativo, la cultura, intesa come civiltà, è invece ogni elaborazione di idee,  più o meno sofisticata, che categorizzi ad un livello ritenuto più astratto e organizzato, o che esprima in forma semiotica e/o simbolica, gli stessi elementi della cultura antropologica.

Il giudizio apprezzativo, a sua volta, attiene a due ambiti di riferimento. Nell’ambito dei valori si può apprezzare o disprezzare un fatto della cultura antropologica, per esempio le camere a gas, perché in accordo o in contrapposizione alle scelte di valore di chi giudica. Nell’ambito del grado di elaborazione, l’apprezzamento o il discredito deriva invece dal fatto stesso che un dato culturale sia inquadrato e inserito intellettualmente in un sistema espressivo, esplicativo o interpretativo più generale e complesso.

Quando si parla di cultura di destra e di sinistra, si tratta poi di riferimenti storici, perché nella storia politica dell’occidente si sono usati questi termini per indicare delle tendenze politiche che si rifacevano a certi valori e a certe elaborazioni intellettuali piuttosto che ad altre.

I termini “destra” e “sinistra” nascono infatti nell’Ottocento in sede di democrazia parlamentare e, accidentalmente, destra si riferisce alle formazioni politiche conservatrici e tradizionaliste, legate ai residui valori aristocratici, e sinistra, in modo corrispettivamente accidentale  per la collocazione  nelle aule parlamentari, si riferisce ai valori borghesi e liberali, in quel momento storico progressisti e radicali. Di qui i due termini si fissano, sempre in modo corrispettivo e generico, al conservatorismo più o meno autoritario la destra, e all’estensione degli ideali democratici la sinistra.

Nelle realtà di fatto della storia delle varie comunità nazionali, gli elementi culturali allocabili a destra e a sinistra si spostano e si mischiano in modo continuo e spesso sorprendente. Il mutare delle entità politiche, dei sistemi sociali, delle strutture economiche, richiede un continuo aggiornamento dei criteri di giudizio relativi alle appartenenze dei fenomeni culturali: il liberismo, per esempio, passa dal patrimonio culturale della sinistra a quello della destra, allorché la classe operaia acquista una coscienza e l’estensione della democrazia diventa socialismo.

Ma spesso le denominazioni e le etichette politiche non corrispondono più ai contenuti, per cui ad esempio la destra sedicente liberale, nei comportamenti economici reali, favorisce i monopoli e non il libero mercato. Oppure la sinistra comunista, nei paesi in cui era all’opposizione, come in Italia, ufficialmente lottava per il socialismo, ma di fatto era costretta a difendere il rispetto della costituzione liberale. Oppure, in Unione Sovietica, la sedicente sinistra si dava la costituzione più socialista e democratica del mondo, ma di fatto applicava un regime autoritario e antidemocratico. Oppure, come negli Stati Uniti, le strutture legislative sono teoricamente democratiche e liberali, ma di fatto meno della metà della popolazione è messa in grado di partecipare alla vita democratica, cosicché la vera natura dell’assetto  politico di quella società è fortemente elitario e “aristocratico” su base economica.

Vi è poi la questione di trasferire e riferire i dati culturali non direttamente politici, come i dilemmi etici, le ipotesi scientifiche o i movimenti artistici ad impossibili semplificazioni, quali governo e opposizione, da riadattare di volta in volta ai mutamenti di blocchi egemoni, di coalizioni di partiti, alle contrapposizioni di interessi contingenti, alle emergenze di tirannelli mass-mediatici.

In questa inevitabile e incessante mobilità, la cultura trova un’accezione specialistica come sfera di pertinenza dei cosiddetti intellettuali, apparentemente autonomi  come ceto, ma egualmente mobili e disponibili sul mercato delle appartenenze  politiche.

Il clima culturale “postmoderno” favorisce la permutabilità dei valori, che sembrano cambiare collocazione con la stessa velocità con cui i parlamentari cambiano partito, i partiti cambiano schieramento, le persone cambiano i partner sessuali, i giocatori cambiano squadra di calcio. Ciononostante, la distinzione rimane uno strumento del pensiero e perciò della cultura. But during last move here week’s special session, mr. Non a caso “distinzione” ha anche un significato apprezzativo come “deferenza” e “signorilità”.

 

Nuove prospettive di destra e di sinistra. (Blore Smith, 10 ottobre 2002)

Una recensione di Samuel Brittan (“Humanitarianism without illusions”,  Financial Times, 27/09/02) al libro di Steven Pinker,The Blank Slate, Penguin, 2002, sulla psicologia evoluzionista, ripropone alcune considerazioni sulla violenza e sui concetti politico-culturali di destra e sinistra.

Come si sa “destra” e “sinistra” sono i termini di una nomenclatura nata dalla posizione presa sui banchi dell’assemblea derivata dalla Rivoluzione Francese nel 1789. Caratteri attribuiti alla destra sono storicamente: l’attaccamento alla religione, alla forza militare dello stato, alla severità coi criminali, all’abbassamento delle tasse; e  contro l’allargamento delle libertà sessuali. Brittan si chiede: cosa ha a che fare la religione con l’abbassamento delle tasse? Cosa c’entrano le opinioni sulla libertà sessuale con la misura della forza militare? La risposta a queste domande può essere solo di carattere storico.

A sua volta la sinistra è più permissiva sui comportamenti sessuali, ma non con le pratiche relative agli affari. La destra è conservatrice, e infatti vuole preservare le tradizioni e i legami comunitari. Tuttavia è più favorevole al libero mercato, che è il principale fattore di sovversione delle tradizioni e delle piccole comunità. Un sostenitore del liberismo può perciò non essere religioso né patriottico, il che lo metterà in conflitto con altri conservatori.

La destra avrebbe un atteggiamento generale verso la vita con connotati “tragici” (o realistici) per la convinzione che la natura umana è sostanzialmente immutabile e il male è connaturato al destino umano. La visione della sinistra si può invece definire utopica, perché considera la natura umana mutevole con le circostanze sociali, perciò ritiene che le istituzioni tradizionali non abbiano un valore intrinseco e possono essere cambiate.

Queste distinzioni potrebbero attenuarsi, magari in favore di altre, fondate più saggiamente sul calcolo pragmatico delle conseguenze dei comportamenti politici in alternativa. Per esempio, poiché il liberismo economico è passato dal patrimonio della sinistra a quello della destra, esso può mantenere un connotato utopico anche nella nuova collocazione, e dunque abbiamo liberisti che credono sinceramente che il mercato, di per sé, allarghi la democrazia e il benessere generale. Invece altri liberisti conservano l’idea che, al contrario, il mercato debba servire proprio a stabilire le discriminazioni sociali, dividendo i migliori dai peggiori.

Ci può essere una visione tragica non legata alla religione, e di natura materialista, che ritiene che gli uomini siano violenti per natura come gli altri animali (John Gray, They F*** You Up, Bloomsbury, Granta Books). A questo proposito il nuovo discrimine fra destra e sinistra si pone piuttosto sui modi per imparare a non essere violenti, perché “naturalmente” i giovani umani tendono a raggrupparsi in fazioni che si combattono aggressivamente, e il controllo etico e politico della violenza opera solo all’interno della propria comunità, clan, tribù o nazione che sia. L’etica infatti non si applica a tutti, ma solo ai propri simili.

È a questo punto che la destra tende a discriminare lo straniero, verso il quale la violenza è giusta, e la sinistra invece ad estendere il più possibile la comunità, per includere e rendere “simili” tutti gli esseri umani e poter esercitare il controllo della violenza da parte dell’autorità democraticamente costituita. Anche la forza dello stato passa allora in secondo piano, perché ciò che conta è il controllo democratico della forza istituzionale.

Brittan suggerisce che, in un’epoca dove tutto può essere geneticamente modificato, forse la visione dell’utopia non può fondarsi solo sull’agire pedagogico. Secondo Brittan, per attuare una comunità mondiale: “We will need not just genetically modified foods, but genetically modified human beings”. Ma questa modificazione genetica non sarà per caso un processo di controllo della comunicazione globale? Come sappiamo bene in Italia, i pericoli insiti in questo programma fanno sì che un nuovo compito della sinistra sia allora quello di impedire che “the process will be led by gangster politicians intent on producing robotic slaves”.

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