Visiocrazia 3. Razionalità prospettica, empirismo visivo e sublimazione barocca.

Lin 2 JleenEmporio Porpora, Approcci sensuali: vista, olfatto, gusto, 2013

Secondo lo storico Martin Jay in “Scopic Regimes of Modernity”, (in Lash & Friedman eds., Modernity and Identity, Blackwell, Oxford, U.K. and Cambridge, USA), ogni incremento dei mezzi visivi, dalla stampa al telescopio, al microscopio, rafforza la percezione sensoriale a danno della riflessione intellettuale, costituendo di volta in volta differenti “regimi scopici”. In questo senso la modernità sarebbe caratterizzata da diverse e conflittuali subculture visive.

Nella Storia, la prospettiva rinascimentale si può collegare alla filosofia razionalista di Descartes, che assimila l’indagine scientifica e intellettuale della mente al fenomeno “naturale” dell’ispezione visiva della retina oculare. Questa scelta apparentemente naturale è invece considerata da Panofsky a sua volta una scelta in qualche misura arbitraria, perché influenzata dall’idea medievale della luce divina che illumina e fornisce regolarità matematica alle cose del mondo, come effetto della volontà di Dio. La convenzionalità della prospettiva è data infatti dalla riduzione della visione binoculare a quella monoculare, dalla tridimensionalità delle cose osservate alla bidimensionalità delle immagini rappresentate. Con la visione prospettica, il pittore, come poi il fotografo, fissa in un momento la sua osservazione del mondo, in uno spazio geometrizzato che tende a ridurre il coinvolgimento emotivo ed erotico dell’osservatore ad un atteggiamento più distaccato e “scientifico”.

L’osservatore e l’osservato si distaccano e si allontanano fino al clamoroso ricongiungimento erotico in opere come Le Déjeuner sur l’herbe, e Olympià di Manet. Nella prospettiva anche il movimento “narrativo” delle scene viene meno in qualche misura a vantaggio di una certa astratta staticità. Così intesa si può dire che la prospettiva, oltre a diminuire la funzione narrativa e illustrativa dell’arte come “Bibbia dei poveri”,  è anche il primo passo del lungo viaggio verso il cubismo. Il mondo rappresentato non è più il libro di Dio, ma una serie di oggetti naturali da osservare con l’atteggiamento spassionato dello scienziato. Il quadro a sua volta, come tela trasferibile, diventa commerciabile sul mercato, e cioè separabile sia dall’autore che dal committente, e soprattutto da ogni visione trascendente. 

Coeva, ma segno di un diverso regime scopico, sarebbe invece la pittura olandese e nordica in genere, per esempio Vermeer e Dürer, filosoficamente riconducibile all’empirismo baconiano invece che al razionalismo cartesiano. (Vedi S. Alpers, The Art of Describing. Dutch Art ib the Seventeenth Century, Chicago, 1983.) Essa privilegia i particolari, gli interni, le cose, il frammento, il dettaglio, le luci riflesse, le superfici, le ombre. Un regime che, per usare la distinzione di Lukàcs, si fonda sulla descrizione verista invece che sulla narrazione realistica. In questo senso è più vicina alla fotografia, soprattutto per la ricerca di inquadrature più arbitrarie, e del fascino della “cosalità”.

Ovviamente un ulteriore regime scopico è quello del barocco (vedi Christine Buci-Glucksman, La Raison baroque, 1984). Meno netto e lineare, anzi: irregolare, deformante, bizzarro, variato, multiplo, eccessivo, aperto, il barocco è la vera opposizione allo stile prospettico e planimetrico del Rinascimento. Esso si oppone anche alla chiara leggibilità dell’arte descrittiva olandese, rifiutando di ridurre in sintesi l’indecifrabilità della realtà e degli spazi visivi. Contro le semplificazioni del razionalismo si rifà piuttosto alla retorica, alla mistica della Controriforma, e si contamina con  gli effetti della percezione tattile. Poiché tenta di rappresentare il non rappresentabile, ed è quindi destinato al fallimento, è permeato di un’intrinseca tristezza, che Benjamin attribuisce al barocco come forma di malinconia. L’irraggiungibilità della meta lo assimila poi al sublime, mentre l’erotismo ritorna nello sguardo desiderante, sebbene sia il desiderio di qualcosa di oscuro. 

Lo sguardo fotografico puo ripetere tutte le poetiche dei regimi scopici: può essere o sembrare freddo oppure carico di desiderio, ma a dire il vero un capannone industriale abbandonato suscita meno desiderio che un corpo a sua volta desiderante. Ma freddezza o desiderio erotico sono associabili all’oggetto fotografato perché in tal modo sono di solito considerati nella vita reale delle persone. Tale modo di vedere si trasferisce inevitabilmente dall’habitus dei comportamenti reali all’esperienza dell’osservazione fotografica. Quindi anche in questo caso non è la fotografia a suscitare o meno certi sguardi, ma ciò che della realtà oggettivamente la fotografia sceglie di rappresentare. Tanto è vero che i desideri suscitati da oggetti inusuali sono chiamati perversioni. Di volta in volta chi preferisce l’ordine geometrico cartesiano o chi preferisce il particolare empirico baconiano o chi preferisce la mobilità fluida e sublimizzante del barocco e del neobarocco postmoderno può accusare di distorsione o reificazione  o perversione gli altri regimi scopici.
Leonardo Terzo

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