Hic Sunt Group, Any Savage Can Dance?, 2011
Combattere il razzismo appare inevitabilmente un atteggiamento doveroso ed etico. Tuttavia, e purtroppo, è una lotta inutile; energia sprecata che non può ottenere i risultati immaginati.
La ragione di questa certezza è che il razzismo non è la causa dell’aggressività distruttiva che ne adotta le motivazioni. Al contrario è l’aggressività distruttiva che privilegia tra le tante motivazioni adottate l’atteggiamento razzista. Il razzismo è solo un mezzo e non il fine; è una delle tante scuse ideologiche e false che l’impulso ad aggredire violentemente il prossimo utilizza per giustificare, ai suoi stessi occhi, la violenza omicida, la sopraffazione e la rapina.
I nemici del razzismo arrivano persino a negare l’esistenza delle razze, e forse dal punto di vista scientifico potrebbero anche aver ragione, poiché le contaminazioni genetiche hanno nei millenni mischiato tutti i caratteri biologici dei gruppi umani. Ma l’esperienza comune permette a chiunque di distinguere dei tratti somatici orientali, europei, africani, lapponi eccetera, per non parlare degli odori di cucina. E perfino all’interno di queste vere o presunte razze di distinguere un watusso da un pigmeo, un brasiliano che balla il samba da un argentino che balla il tango, un toscano “etrusco” da un pastore sardo che guida il gregge in Toscana. Figuriamoci Toro Seduto dal generale Custer.
Il secondo argomento a favore dell’irrilevanza del razzismo rispetto ai comportamenti discriminatori e aggressivi, è il fatto che, anche se ammettessimo, erroneamente, che ci sono etnie e culture superiori ed altre inferiori sotto un qualsiasi aspetto, questo a rigor di logica non dovrebbe di per sé innescare la discriminazione e la violenza. Anzi al limite potrebbe o dovrebbe promuovere la solidarietà e l’aiuto a chi è in svantaggio. Come quando, in caso di emergenza o di pericolo, si usava la parola d’ordine: “Prima le donne e i bambini!” Parola d’ordine che oggi alle donne non piace più, perché ne presuppone una qualche debolezza o inferiorità, catalogata infatti come sottocategoria razzista detta “sessismo”.
Invece la debolezza altrui viene quasi sempre presa come motivazione per esercitare la prepotenza e lo sterminio. Infatti, se non può esercitarsi contro una differenza razziale, l’aggressività si rivolge contro qualsiasi bersaglio a portata di mano: i coetanei per il bullismo; i tifosi della squadra avversaria nelle risse da stadio; le bande giovanili di un altro quartiere metropolitano; quelli della città “di sopra” e quelli della città “di sotto”, o addirittura “delle valli”; gli omosessuali da parte degli etero, e viceversa gli etero da parte delle lobby omo. Anche in tutti questi casi, oltre la possibile debolezza, qualsiasi diversità è buona, appunto perché la natura della diversità è irrilevante in sé, ed è puro pretesto per sfogare un’energia devastatrice.
Allora invece di combattere il razzismo, che è solo una conseguenza, è necessario combattere l’origine della distruttività, con l’educazione alla mitezza, e ad una consapevolezza della natura e del significato della forza, per incanalare la vitalità verso la creatività, l’aiuto reciproco, la generosità. O per lo meno l’autocontrollo e il rispetto.