Cosa fa chi fotografa 4. Baudelaire: Salon, 1859

Futurist way 2Leonardo Terzo, Futurist Way, 2013

Charles Baudelaire – Sulla fotografia [Salon, 1859]
(tradotto da A. Luzzato)
Commenti di Leonardo Terzo

1. E’ sorta in questi deplorevoli giorni una nuova industria che ha contribuito non poco a distruggere ciò che di divino forse restava nello spirito francese. E noto che la folla idolatra richiedeva un ideale degno di sé e conforme alla propria natura. In fatto di pittura e di statuaria, il Credo attuale della buona società, soprattutto in Francia (e ritengo che nessuno osi affermare il contrario), è questo: «Credo nella natura e non credo che nella natura (ci sono buone ragioni per questo). Credo che l’arte sia e non possa essere che la riproduzione esatta della natura (una setta timida e dissidente vuole che siano esclusi gli oggetti ripugnanti come un vaso da notte o uno scheletro). Sicché l’industria che ci desse un risultato identico alla natura sarebbe l’arte assoluta».

Un Dio vindice ha esaudito i voti di questa moltitudine. Daguerre fu il suo Messia. E allora essa disse tra sé: «Giacché la fotografia ci da tutte le garanzie d’esattezza che si possono desiderare (credono questo, gli insensati!) l’arte è la fotografia». Da quel momento, l’immonda compagnia si precipitò, come un solo Narciso, a contemplare la propria triviale immagine sul metallo. Una follia, uno straordinario fanatismo s’impadronì di tutti questi nuovi adoratori del sole. Strane abominazioni si manifestarono.

Commento.
1. Baudelaire coglie qui il fatto che la fotografia sembra venire incontro ad un bisogno di massa, (macellai e lavandaie che si agghindano come a carnevale) e identifica e attribuisce l’abbassamento culturale alla poetica della fedeltà alla natura che la fotografia fornisce “a buon mercato”. Le “garanzie di esattezza” soddisfano anche il narcisismo di vedersi ritratti  col nuovo mezzo, di qui il successo e la moda. Gli elementi in gioco sono tre: due relativi alle aspettative del fruitore, il basso costo e il narcisismo, e uno relativo al mezzo industriale e meccanico che opera invece dell’artista.

1.a. È anche significativo, sebbene possiamo dirlo a posteriori, che si citi il vaso da notte come oggetto che la massa non vuole ritrarre. Vedremo che proprio all’orinatoio ricorrerà Duchamp per irridere alla sacralizzazione dell’arte, e poi Edward Weston fotograferà di nuovo il suo gabinetto, senza ironia, e lo paragonerà alla Vittoria di Samotracia, come opera significativa di una civiltà, proprio perché è un oggetto industriale. E a rifletterci, si può effettivamente dire che i sanitari e i sevizi igienici sono una conquista del progresso, perché, garantendo la pulizia e l’igiene, contribuiscono ad allungare le prospettive di vita di una comunità.(Vedi:https://www.edward+weston+excusado+1925)

1. b. Il problema è che si identifica il sanitario come opera d’arte, abolendo la differenza fra oggetti pratici, detti anche oggetti etnografici, e oggetti estetici. La differenza è che gli oggetti etnografici hanno appunto un uso pratico, mentre gli oggetti estetici sono messaggi e sono da contemplare, capire e interpretare. Anche gli oggetti pratici vanno capiti, per poterli poi usare, mentre gli oggetti estetici hanno una funzione autoriflessiva, cioè attirano l’attenzione su se stessi, e attraverso il modo in cui sono fatti ci vogliono dare un senso più generale e profondo della realtà di cui parlano.

1. c. A metà strada tra Duchamp che vuole spostare l’oggetto etnografico triviale in un contesto estetico, (con ciò che egli chiama tecnica del “ready made”, cioè del “già fatto”, “bell’e pronto”), e vuole prendere in giro l’arte, proprio fidando sullo scandalo e sullo spaesamento del pubblico, e Weston e altri, come il gruppo Fluxus, si pone Andy Warhol che riproduce in pittura gli oggetti industriali come appunto una scatola di pomodori. In questo modo ci dice che l’industria si può equiparare all’arte, ma sente ancora il bisogno di rappresentare il prodotto industriale in un dipinto, peraltro commisto ad una foto o ad una stampa.

2. Associando e raggruppando gaglioffi e gaglioffe agghindati come i macellai e le lavandaie a carnevale, pregando questi eroi di voler prolungare, durante il tempo necessario all’operazione, la loro smorfia di circostanza, ci si illuse di rendere le scene, tragiche o leggiadre, della storia antica. Qualche scrittore democratico ha dovuto vedere in ciò il mezzo di diffondere a buon mercato nel popolo il disgusto della storia e della pittura, commettendo così un doppio sacrilegio e insultando, ad un tempo, la divina pittura e l’arte sublime del commediante.

Commento
2. Baudelaire dice: “il tempo necessario all’operazione”. Questo perché la posa fotografica era lunga, per poter impressionare i materiali, poi sostituiti dalla pellicola e ora dal digitale. La smorfia di circostanza indica di nuovo la collaborazione delle persone fotografate. Spesso ancora oggi le persone che sanno di essere riprese fanno delle smorfie che credono spiritose. Ad ogni modo mettersi in posa era ancor più consueto nei ritratti dei pittori. Qui si apre tutto il discorso sull’istantaneità e sulla scelta, possibile o meno, del momento più opportuno di scattare una fotografia. 

3. Di lì a poco, migliaia di occhi avidi si chinarono sui buchi degli stereoscopi come sugli abbaini dell’infinito. L’amore dell’osceno, naturalmente vivo nel cuore dell’uomo quanto l’amore di sé, non lasciò sfuggire un’occasione così bella per soddisfarsi. E non si dica che i ragazzi di ritorno dalla scuola fossero i soli a godere di quelle porcherie; esse furono la frenesia della società. Ho udito una bella signora, una signora del bel mondo, non già del mio mondo, rispondere a coloro che le nascondevano con discrezione simili immagini, preoccupandosi così d’aver pudore per lei: «Mostrate pure, non c’è niente di troppo forte per me». Giuro di aver udito con le mie orecchie; ma chi mi crederà? «Vedete bene che si tratta di grandi dame!» dice Alessandro Dumas. «Ce ne sono di ancor più grandi!» dice Cazotte.

Commento
3. Lo stereoscopio è uno strumento che prima separa e poi riunisce il punto di osservazione di ciascuno dei due occhi. In questo modo si ottiene un senso di tridimensionalità, come si usa ancora talvolta al cinema. Ma poi qui si allude anche alla curiosità per le cose che si vedono con questo strumento, evidentemente delle fotografie spinte. Infatti ogni nuovo mezzo, la stampa, la fotografia, il cinema, e per esempio adesso la rete telematica, viene diffuso avvalendosi soprattutto della visione delle cose più richieste, cioè i contenuti sessuali e la pornografia. Baudelaire dice che i più curiosi sono i ragazzi di ritorno dalla scuola, che però non sono i soli a godere di quelle porcherie, ma che anche le signore sfacciatamente si dicono per niente scandalizzate. E si citano autori di romanzi come Dumas e il ministro Jacques Cazotte, autore di Le diable amoureux, un romanzo ritenuto spinto per l’epoca.

4. Poiché l’industria fotografica era il rifugio di tutti i pittori mancati, scarsamente dotati o troppo pigri per compiere i loro i studi, questa frenesia universale aveva non solo il carattere dell’accecamento e dell’imbecillità, ma anche il colore d’una vendetta. Che un così stupido complotto, nel quale si trovano, come in tutti gli altri, i malvagi e i gonzi, possa riuscire in modo assoluto non credo, o almeno non voglio credere; ma sono convinto che i progressi male applicati della fotografia hanno contribuito molto, come d’altronde tutti i progressi puramente materiali, all’impoverimento del genio artistico francese, già così raro.

La fatuità moderna avrà un bel ruggire, eruttare tutti i gorgoglii della sua tonda personalità, vomitare tutti i sofismi indigesti di cui una recente filosofia l’ha rimpinzata a crepapelle, ciò va inteso nel senso che l’industria, facendo irruzione nell’arte, ne diviene la più mortale nemica, e la confusione delle funzioni fa si che nessuna sia compiuta a dovere. La poesia e il progresso sono due ambiziosi che si odiano d’un odio istintivo, e, quando s’incontrano sulla stessa strada, bisogna che uno dei due serva l’altro. Se si concede alla fotografia di sostituire l’arte in qualcuna delle sue funzioni, essa presto la soppianterà o la corromperà del tutto, grazie alla alleanza naturale che troverà nell’idiozia della moltitudine.

Commento
4. È vero che la fotografia facilita la creazione di immagini e dunque facilita chi non sa disegnare o dipingere, e infatti permette di sostituire l’arte in quella specifica finalità, che è insieme celebrativa e di servizio. Ma è appunto un equivoco pensare che lo scopo della fotografia sia di sostituire l’arte tradizionale, anche se ciò è stato fatto e si continua a fare, sebbene con una consapevolezza della diversità. Questa diversità è molteplice e si è fraintesa in due modi opposti. Da un lato, come lamenta Baudelaire, si crede che la fotografia sostituisca in tutto la funzione dell’arte, corrompendola; dall’altro e successivamente, sono i fotografi che, pensando pur non a torto che la fotografia sia un altro tipo di arte, pretendono a loro volta di essere totalmente artisti, senza riconoscere che gran parte della loro creatività è prodotta dalla tecnica. Per Baudelaire la tecnica fotografica corrompe, perciò è da evitare. Per i fotografi che si sentono totalmente artisti, la tecnica si sublima e diventa pura creatività nelle loro mani.

Tutte le innovazioni tecniche producono nuovi tipi di arte, che all’inizio non vengono riconosciuti, perché diversi dai canoni e anche dagli scopi precedenti. Il grande merito della fotografia, come arte e come tecnica, è la riproducibilità, che diventa allargamento democratico della fruizione estetica e dell’uso dei documenti visivi. Non credo che il canone estetico sia automaticamente abbassato dalla fotografia, anzi è un passo verso la democratizzazione o il semplice svincolo dalle gerarchie dei valori sociali che sempre in qualche misura pervadono l’attività artistica e la diffusione delle informazioni. Prima degli impressionisti, un bordello come quello delle Démoiselles d’Avignon non sarebbe mai stato il contenuto di un capolavoro che inaugura una poetica dell’arte pittorica.

5. Bisogna dunque che essa torni al suo vero compito, quello di essere la serva delle scienze e delle arti, ma la serva umilissima, come la stampa e la stenografia, che non hanno né creato né sostituito la letteratura. Arricchisca pure rapidamente l’album del viaggiatore e ridia ai suoi occhi la precisione che può far difetto alla sua memoria, adorni pure la biblioteca del naturalista, ingrandisca gli animali microscopici, conforti perfino di qualche informazione le ipotesi dell’astronomo; sia, insomma, il segretario e il taccuino di chiunque nella sua professione ha bisogno d’un’assoluta esattezza materiale, fin qui nulla di meglio. Salvi pure dall’oblio le rovine cadenti, i libri, le stampe e i manoscritti che il tempo divora, le cose preziose di cui va sparendo la forma, che chiedono un posto negli archivi della nostra memoria: sarà ringraziata e applaudita.

Ma se le si concede di usurpare il dominio dell’impalpabile e dell’immaginario, e di tutto quello che vale solo per quel tanto d’anima che l’uomo vi mette, allora poveri noi! So bene che parecchi mi diranno: «La malattia che siete venuto spiegando è quella degli imbecilli. Qual uomo, degno del nome d’artista, o che ami veramente l’arte, ha mai confuso l’arte con l’industria?». Lo so, eppure chiederò loro, a mia volta, se credono al contagio del bene e del male, all’azione delle folle sugli individui e all’obbedienza involontaria, forzata, dell’individuo alla folla.

Commento
5. Qui Baudelaire coglie però quello che poi davvero succederà, e cioè che la fotografia pretenderà di essere un’arte autonoma. Il che è un punto controverso. Prima di accettare che sia un’arte, è necessario capire in che consiste lo specifico di quest’arte. Come ho già detto lo specifico consiste nella scelta di una porzione di spazio in un determinato momento. La tecnica fotografica sta nell’attirare e concentrare la vista su qualcosa, escludendo il resto. I fotografi che si considerano artisti invece pensano quasi sempre di essere dei creatori, come se avessero creato non l’immagine soltanto, ma la cosa stessa di cui hanno colto l’immagine. Inoltre il ritaglio che trasforma il mondo in una porzione di mondo, oltre ad esistere indipendentemente dal fotografo, per il fatto stesso di esserci è banale, come è banale tutto ciò che esiste già e che infatti chiunque può vedere, anche senza che il fotografo lo costringa. Cosa c’è dunque di originale in una fotografia? Solo il punto di vista. E “punto di vista” lo è in senso letterale, ma lo diviene anche in senso metaforico, il che significa che ciò che viene visto da un punto di vista vuole esprimere soprattutto, non ciò che si vede, che infatti è banale e a disposizione di tutti, ma l’investimento di significati e sentimenti di chi lo guarda. Ecco allora che il senso e il valore artistico della fotografia sta in ciò che l’osservatore o fruitore decide di attribuire a ciò che il fotografo lo ha indotto a vedere. Il senso assoluto della fotografia, come tecnica pratica e letterale che diviene un mezzo artistico, sta nell’esprimere, ed essere, l’essenza delle poetiche che si chiameranno poi moderniste o d’avanguardia. Queste poetiche intendono superare il realismo, anche a prescindere che si possa credere di poter conoscere la realtà o meno (ma di solito non credono più nella “verità”), e caricano di valore gnoseologico, che diventa estetico, proprio la prospettiva soggettiva in cui si inquadrano le cose. L’artista non testimonia più la verità uguale per tutti, ma l’autenticità del suo vissuto. Nella fotografia il “vissuto” diventa “visto”.

6. Che l’artista agisca sul pubblico, e che il pubblico reagisca sull’artista, è una legge incontestabile e inoppugnabile; d’altronde i fatti, terribili testimoni, sono facili a studiare; il disastro si può verificare. L’arte ha sempre meno il rispetto di se stessa, si prosterna davanti alla realtà esteriore, e il pittore si fa sempre più incline a dipingere, non già quello che sogna, ma quello che vede. Pure è una felicita sognare, ed era una gloria esprimere quello che si sognava; ma che dico? Conosce ancora, l’artista, questa felicità? Affermerà l’osservatore in buona fede che l’invasione della fotografia e la grande follia industriale sono assolutamente estranee a questo deplorevole risultato? È permesso supporre che un popolo i cui occhi si abituino a considerare i risultati d’una scienza materiale come prodotti del bello, dopo un certo tempo si trovi con la facoltà di giudicare e sentire ciò che vi è di più etereo e di più immateriale singolarmente attenuata?

Commento
6. Baudelaire contrappone qui la realtà, indagata e scoperta dalla scienza e dalla tecnica, come pure appunto dalla fotografia,  al sogno, che secondo lui è prodotto dall’arte. Il sogno fa parte della nomenclatura “romantica”, e nel modernismo delle avanguardie, più o meno consapevoli, lo stesso elemento si trasformerà in ermeneutica. Nell’arte la realtà si presterà ad essere trasformata non più dall’immaginazione, ma dall’interpretazione. Tutta l’arte moderna è una infinita macchia di Rorschach.

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