Il salto nel vuoto dell’arte e della sua teoria.

az ToycityLeonardo Terzo, Toycity, 2006

Il fotomontaggio intitolato Il salto nel vuoto di Yves Klein, mostrato nel post precedente, potrebbe considerarsi l’allegoria dell’arte contemporanea che, disancorandosi da ogni prescrizione di contenuti e di valori, con lo scopo cosciente di liberarsi da ogni vincolo e prospettiva eteronoma, non si è accorta di aver creato intorno a se un vuoto che essa stessa e solo essa rivendica il diritto di riempire.

In questo vuoto l’arte si è tuffata e non capiamo ancora se toccherà un qualche approdo o debba continuare a precipitare gesticolando nell’aria. L’arte è una pratica sociale, un concetto e una categoria semantica costituita di fatto da una totalità indefinita e indiscriminata di agenti: artisti, critici, osservatori, consumatori, pubblico delle esposizioni, funzionari delle istituzioni, insomma un mare mosso di fenomeni teorico-pratici che trovano saltuariamente dei punti di contatto riconducibili primariamente ai mercati.

Più finemente Stanley Fish molti anni fa ha opportunamente individuato la varietà di coloro che più o meno si interessano e apprezzano le arti col termine di “comunità interpretative”, cioè gruppi variamente orientati che al loro interno condividono alcuni criteri che per loro qualificano e spiegano le opere d’arte.

Peraltro a causa del primato dell’originalità che informa la teoria modernista, ovvero delle avanguardie, l’originalità è soggetta a ciò che in economia è il principio dell’obsolescenza. Esso consiste nel fatto che, dal punto di vista della ricerca, ogni innovazione tecnica e scientifica che si incarna in un prodotto deve considerarsi obsoleta nel momento stesso in cui accede al mercato e al consumo. Il postmodernismo, abolendo la ricerca del nuovo, ha forse alluso all’inutilità di esso. Certo il valore della tradizione non viene mai meno, purché resti legata alle opere di ciascun periodo, che vengono comunque re-intepretate, e non divenga invece ripetizione del già noto.

One moreLeonardo Terzo, A volte escono dalla cornice, 2013

L’arte dunque è costituita da chi produce e sta intorno a ciò che approda alla visibilità mercantile, ma anche da tutto il resto che non raggiunge la visibilità o non è interessata a immergersi nella competizione istituzionale. Essi inventano di volta in volta, e per diversi periodi, degli interessi che vedono manifestati nei vari artisti, critici, mode e tendenze. La parzialità di questi endemici coaguli di “valori” fa sì che nulla può esaurire la facoltà di chiunque di considerarsi artista sulla base proprio di quel perpetuo inesauribile vuoto costituito dall’insindacabilità delle scelte dentro e fuori il mercato.

Come ha subito intuito Benjamin, ma anche altri, l’arte, come tutti i fenomeni sociali, evolve in concomitanza col resto della società. E la disponibilità tecnologica degli strumenti utilizzabili per la creatività estetica, in primo luogo la fotografia, ha creato una nuova ondata innovativa, distruttiva e combinatoria, di prodotti ai quali rivolgere e coi quali soddisfare l’appetito estetico innato nell’essere umano.

Il vuoto, si sa, è qualcosa che non si sopporta, e tutti sono spinti a precipitarsi in esso per riempirlo. Esso appare un’opportunità, e lo è, per permettere democraticamente a tutti di avere intanto uno spazio in cui manifestarsi e accomodarsi esteticamente.

L’aspetto apparentemente negativo è che ogni tentativo si perde nell’evanescenza, ma forse è solo l’incapacità di capire che l’arte è il luogo in cui tutto il resto si significa e si specchia, e allora ciò che il vuoto incolmabile dell’arte contemporanea dovrebbe insegnarci è che l’antropologia umana è uno spazio instabile dove di volta in volta si alternano le onde del tutto e del nulla.
Leonardo Terzo

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