Walter Benjamin, La Gioconda e Marilyn Monroe.

 

 M MCamera, Suffering Beauty, 1926-1962

Nel saggio su “L’opera d’arte…” Benjamin inizia con una citazione di Valery da La conquête de l’ubiquité che mette in relazione la natura delle arti  con i mezzi tecnici con cui esse sono realizzate. Poiché le tecniche materiali disponibili evolvono, mutano anche le arti, non solo nel senso delle poetiche, ma come arti stesse, e se ne inventano di nuove.

Si tratta delle cosiddette condizioni di produzione, che Marx lega direttamente alla produzione economica, che egli chiama struttura, ma che tutti in seguito – e Valery e Benjamin qui ne sono l’esempio – proietteranno sulla produzione culturale o sovrastruttura, anche se in modo più o meno indiretto. E comunque, come anche qui Valery e Benjamin dicono, derivando in qualche modo da esse, sempre a posteriori, se non addirittura in ritardo.

Questa relazione, secondo Benjamin, elimina tutti quei concetti che prevalevano nel romanticismo: “i concetti di creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero”, che egli ritiene elaborati in una prospettiva ideologica che si dirige verso il fascismo. Potremmo dire che sia piuttosto una prospettiva idealistica, rispetto alla concezione materialistica che lega la cultura alle tecniche di produzione, ma non necessariamente diretta al fascismo.

Certamente liberata dal suo alone di mistero, di unicità, di ineffabilità, l’opera d’arte si presta più facilmente ad essere riprodotta, e Benjamin cita in effetti il lavoro delle botteghe d’arte, dove maestri e allievi, progettavano, preparavano, e quindi anche copiavano, tutti quegli elementi delle arti che poi confluivano nell’opera definitiva per il committente. L’arte in effetti non era ritenuta diversa dall’artigianato, se non per i livelli di qualità raggiunti.

L’innovazione fondamentale è però la riproduzione tecnica, che non avviene più per mano umana. Perciò la fotografia si presenta subito con le aspirazioni di una nuova arte, mettendo in questione i caratteri legati all’unicità, all’autenticità, e alla storicità dell’oggetto artistico. È in relazione a queste tre condizioni che, secondo Benjamin, con l’avvento della fotografia, tutta l’essenza dell’arte va ridiscussa e riconsiderata .

Per esempio ciò che costituisce la perspicuità “artistica” della Gioconda di Leonardo (che prenderemo come prototipo ontologico dell’opera d’arte tradizionale e non riproducibile) non è solo l’immagine che tutti conosciamo, anche se l’avessimo vista solo in riproduzione (e non per un paio di minuti dal vero, al Louvre, dopo una lunga fila), ma è il fatto che Leonardo ha effettivamente e personalmente, in un determinato momento storico (l’hic et nunc di cui parla Benjamin), proprio su quella tela materiale, dipinto il quadro che conosciamo. La fotografia del quadro invece conserva solo l’immagine e perde tutti gli altri requisiti. 

Ogni fotografia della Gioconda non è perciò il quadro, autentico e unico, ma solo la sua copia, di nessun valore materiale. Naturalmente anche la copia però conserva il suo valore “culturale”, nel senso che ci permette di avere una certa cognizione di quel capolavoro e del suo significato nella storia dell’arte dell’Occidente. Come dice Benjamin, la fotografia delle opere d’arte può persino mettere in vista qualcosa che ad occhio nudo non si vedeva, e ciò è utile per accrescere la consapevolezza delle sue caratteristiche. Ma anche le nuove scoperte relative all’originale, permesse eventualmente dalla fotografia, vanno ad accrescere le qualità del quadro, non le qualità della copia fotografica.

L’opera d’arte che nasce invece già come riproducibile non ha bisogno dell’unicità, né del supporto materiale autentico dell’immagine. Persino la sua storicità, che pure esiste, non è collocata nel materiale cartaceo o elettronico, su cui è stata prodotta la prima volta, bensì nella consapevolezza degli osservatori e di solito nel suo contenuto stesso.

Anche se gli originali delle ultime foto di Marilyn Monroe, recentemente ritrovate, vengono vendute all’asta, e quindi riacquistano un tipo di “aura” cultuale sua propria, è il culto di Marilyn come attrice, idolo e personaggio storico che in parte si trasferisce su quelle foto ritrovate. Chi compra all’asta le foto di Marilyn vuole possedere un po’ di lei e della sua vita, per un culto della sua persona e del ruolo da lei avuto nell’immaginario e anche nella vita reale degli spettatori dei suoi film e degli accadimenti della sua vita.

Ciò è esattamente il contrario del culto e dell’aura della Gioconda, che come persona reale nemmeno sappiamo chi sia veramente. Nelle foto, riproducibili, noi cerchiamo di possedere qualcosa della persona di Marilyn Monroe, nel quadro della Gioconda noi invece ammiriamo il manufatto artistico di Leonardo da Vinci, e non una possibile adorazione della persona ritratta da Leonardo, anche se bellissima.

E il merito di quella bellezza è attribuita da noi all’abilità del pittore, mentre il merito della bellezza nella foto di Marilyn per noi è solo di Marilyn. Il fotografo, per quanto bravo e benemerito, non conta nulla: chi compra all’asta e sue fotografie non le compra perché le ha scattate lui.

 

A secco1Leonardo Terzo, My Mona Lisa, 2010

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