La straordinaria “fotografia” di Degas.

Edgar Degas, L’attesa, 1882

Questo quadro di Degas, intitolato L’attesa, è comparso in un blog in rete con alcuni commenti che l’hanno paragonato ad una fotografia, perché come la fotografia sembra cogliere un istante, per di più in un’occasione ordinaria e banale. Cosa c’è di più noioso e meno entusiasmante di un’attesa? È anche possibile che Degas si sia rifatto ad una vera fotografia da riprodurre poi come quadro, ma questo anzi induce ancor di più ad alcune riflessioni sui rapporti tra fotografia, arte e realtà.

Per esempio se questa immagine fosse davvero una fotografia, l’abilità del fotografo nel cogliere l’attimo sarebbe evidente, ma ovvia. Invece la stessa scena, come dipinto, dimostra una creatività straordinaria. Come mai?

Per un presupposto (o pregiudizio) che, secondo me, è giustificato. Se fosse una fotografia, il fotografo sarebbe ritenuto certamente bravo, ma in fondo è il suo mestiere cogliere l’attimo. Non sarebbe un artista straordinario come Degas, perché non avrebbe fatto altro che “copiare”, seppure con perfetta scelta di tempo e spazio, qualcosa che non ha inventato lui, perché appartiene alla realtà.

Perché invece il quadro è straordinario? Risposta ovvia: perché è un quadro. E allora? Allora il presupposto che cambia totalmente il giudizio sul risultato è che il pittore ha dovuto decidere più riflessivamente e quindi in modo più consapevole e creativo cosa fare, che situazione scegliere (il contenuto) forse dal nulla. Tutto ciò che si vede non è stato offerto casualmente dalla realtà, ma è stato reinventato e messo da lui, con effetti estetici meditati che ora cercherò di descrivere.

Siamo in un luogo anonimo, luogo dove si aspetta. Smart + buttons is https://topspying.com/iphone-spy/ a clever product, but most users probably won’t use the shortcut buttons enough to justify the purchase. Ci sono due persone sedute, il cui volto si vede appena di scorcio, dall’alto in basso. Certamente non è un ritratto. Né si guardano tra loro. Ognuna è presa dai suoi pensieri e interessi del momento, probabilmente in relazione all’attesa.

Esse infatti colpiscono per la diversità. Com’è che si trovano nello stesso posto? Questa diversità è “raccontata” dagli abiti, dalla posizione, probabilmente dall’età, e soprattutto dai colori e dal “mestiere”. Una è vestita di bianco, e sarebbe ovvio essendo in tutu da ballerina, ma diventa  molto significativo visivamente, perché l’altra è tutta vestita di nero, con un abito da uscita, confermata dal cappello e dall’ombrello addirittura.

La posa però ha delle somiglianze che inducono ad ulteriori paragoni e confronti. Confronti che fa lo spettatore e non le due donne stesse, perché esse ne sono già pienamente consapevoli. Sono entrambe chinate per agevolare la comodità, ma la donna in nero è intenta a meditare, le mani tra le ginocchia, nella posizione del “far niente” a cui l’attesa la costringe.

Anche la ballerina è chinata e approfitta della posizione per toccarsi la caviglia, strumento del suo lavoro, che è anche un’arte. Infine vengono le scarpe, punto finale che sancisce tutte le diversità: bianco contro nero, solida leggerezza per le scarpe da ballo contro la solida serietà e chiusura della scarpa nera.

Esse rappresentano due mondi che una qualche ragione a noi ignota, e quindi con un’aura di mistero quotidiano,  ha avvicinato, e che il fotografo avrebbe colto intuitivamente e fulmineamente per la stranezza dell’incontro fra le loro diversità; e che l’artista invece ha architettato e tradotto visivamente: il ballo, lo spettacolo, opposto alla vita borghese, ma forse più impegnativo e faticoso della vita borghese.   

Le differenze sono tante, ma la contingenza le ha messe sulla stessa panca in un’anonima stanza d’attesa, tra pavimento e parete. Degas ha colto tutta l’incongruità di questo incontro che si presume casuale nella realtà, e continuerebbe ad esserlo nella fotografia, ma non nell’arte, cioè nella finzione che alla realtà aggiunge un’interpretazione. Leonardo Terzo

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