Il polso della crisi (nostra), by Charly 45

Come ricordato più volte in precedenti riflessioni sulla crisi (che  continua a mostrare i propri effetti anche se con segnali di ripresa), è  indispensabile non dimenticare che il nostro Paese ha un debito pubblico molto rilevante.

Per tanto, quando si parla di:
-riduzione del carico fiscale;
-sostegno alla ripresa economica attraverso la spesa pubblica;
-altri ragionamenti, riconducibili alla fine ai due punti precedenti;
il vincolo del volume del debito pubblico riappare in tutta evidenza..

Anche i discorsi di stabilità politica ne devono tenere conto, nel senso che sarebbe opportuno, quando si ipotizzano azioni per favorire la ripresa, fare riferimento solamente  a ciò che sarebbe compatibile con la nostra situazione.

Perciò, se non si vuole ulteriormente compromettere il delicato equilibrio dei conti dello stato, ad ogni rinuncia di incremento del carico fiscale deve corrispondere:
-un incremento di pari introiti fiscali alternativi
-riduzioni di spese improduttive (cosa non facile).

Il punto è che quando l’intervento di variazione  diventa improrogabile, per motivi di promessa politica o per interventi imprevisti o obbiettivamente necessari, nel momento dell’urgenza inevitabilmente si colpisce la classe che ha  disponibilità di reddito  a livello di notorietà fiscale, sulla quale si possa “contare”, e che è più orientata (o lo era) ai consumi di mercato.

Il sommerso,  che tanto rilievo ha avuto come concausa della situazione di squilibrio attuale, non è facilmente ed immediatamente perseguibile; per cui se si vogliono risultati immediati, e soprattutto certi, non si può che rivolgersi a chi può contribuire immediatamente e con certezza.

È in tale modo che negli anni di crisi, di fronte alle inevitabili richieste di maggiori entrate fiscali necessarie al prospettato riassetto della pubblica finanza, tale classe si è assottigliata.

Ciò anche al fine  di convincere i detentori di titoli del debito pubblico circa la volontà dello Stato di riprendere un percorso equilibrato e degno di fiducia. Vale quindi quanto è stato fatto per raggiungere la parità di bilancio,  fondamentale per il tentativo di risanamento del debito pubblico.

Come si diceva più volte l’impoverimento generalizzato è tendenzialmente inevitabile, poiché il prelievo fiscale tradizionale pesa su una fascia numerosa che, per farvi fronte, è costretta a rivedere la propensione al risparmio e al consumo. La conseguenza è che il comportamento, per sommatoria, produce una contrazione dei consumi a livello globale, innescando di seguito riduzioni della produzione per la minore domanda  e, a catena, riduzione del lavoro e ulteriori contrazioni. 

Ciò può anche significare disinvestimenti dai titoli di stato, che erano e sono l’investimento classico e senza rischio (almeno così era), tipico per la classe di redditieri. La lotta contro l’evasione fiscale ed i provvedimenti per limitarne la portata, paradossalmente, in situazione di crisi, hanno influito sull’andamento di alcuni consumi.

I  provvedimenti circa l’uso del denaro contante e le segnalazioni delle spese superiori ad un certo importo, nate per ridurre il fenomeno del sommerso, hanno causato anch’esse una riduzione di alcuni consumi di beni rientranti nei vincoli di legge. Oppure, in alcuni casi, hanno  cercato e trovato altre fonti di approvvigionamento, incluse quelle estere negli stati confinanti, dove tali misure non sono in vigore.

D’altro canto il vincolo del debito pubblico complica il tutto. Infatti il problema sta nella assoluta necessità di trovare investitori per rinnovare i titoli in scadenza. Fin tanto che ci sono sottoscrittori per il rinnovo, il problema resta tendenzialmente sotto controllo e si ha tempo per pensare a come ridimensionarlo in modo ordinato.

Per arrivare alla ragionevole probabilità di non avere problemi con i rinnovi delle scadenze bisogna che si verifichino due condizioni:
convenienza economica all’ investimento;
confidenza nella solvibilità dello stato emittente, e quindi esistenza nello stato di un sistema economico che dia fiducia all’investitore in genere ed estero in particolare.

Queste condizioni si riflettono su  quanto detto più sopra perché:
– la convenienza economica per l’investitore implica dei costi elevati per interessi passivi  per lo stato con copertura  da entrate impositive;
– la fiducia dell’investitore si basa su un sistema economico in equilibrio, o con prospettive di riordino per tendere all’ equilibrio;
– inoltre i due concetti interagiscono in quanto il compenso economico sconta anche la variabile rischio, per la quale il tasso d’interesse si compone di un compenso economico di mercato, maggiorato dalla percentuale di rischio di solvibilità. La somma delle due percentuali porta al tasso applicato al prestito.

Quindi si comprende l’importanza del livello del debito pubblico sulle manovre  economiche:
– la necessità del rinnovo dei titoli  alle scadenze  lascia spazio ristretto ad investimenti per il rilancio dell’ economia in crisi;
– il peso del costo per la remunerazione agli investitori richiede parecchie risorse per la copertura. Lo spazio di manovra si restringe ed il percorso economico diventa quasi obbligato.

La possibilità di riuscita risiede nella riduzione delle spese pubbliche non produttive, ma questo argomento non è semplice da affrontare, come non lo è quello della lotta al sommerso. In questo contesto si spiega l’inevitabilità dei provvedimenti che hanno portato ad una situazione politica particolare e difficoltosa. La presenza rilevante del debito pubblico si è rifatta sentire dopo un periodo di timori attenuati e si è dovuto prendere nuovamente atto di quanto si sia vulnerabili.
Charly 45.

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