Il “neo-pittorialismo”: la fotografia all’inseguimento dell’arte contemporanea

J. PrestonJ. Preston, Radicchio, 2013

Quando la fotografia comincia ad entrare nei musei, può farlo in due modi, che talvolta peraltro finiscono poi per confondersi, con conseguente aumento della confusione critica. Il primo modo è quello per cui la fotografia, rigorosamente pura, è considerata arte in sé, e la si apprezza come tale, retrocedendo in secondo piano le precedenti funzioni. Esattamente il contrario di ciò che dice Barthes, e molti altri, quando afferma che la referenza è la funzione naturale e primaria della fotografia, e solo in seconda battuta le si possono attribuire altri compiti. In questo primo tipo di artisticità la fotografia è e rimane se stessa, senza tradire la propria economia espressiva, che si fa strumento della nuova musa.

Il secondo modo invece usa la tecnica fotografica come ingrediente di un’interazione più ampia e di un impiego diversificato di strumenti per un compimento estetico che supera la mera fotografia, confluendo nella molteplicità di materiali di cui l’arte contemporanea si avvale senza limiti e senza scrupoli. In questo secondo caso la fotografia insegue l’arte, perdendo la sua vocazione specifica: il fotografo non è più fotografo, ma artista che usa in tutto o in parte la tecnica fotografica, come Braque e Picasso appiccicavano pagine di giornale nei loro quadri, senza per questo, come abbiamo già detto, diventare giornalisti o giornalai.

Nel primo caso, la fotografia d’arte è influenzata dalle varie poetiche moderniste, informali, dell’astrattismo o dell’espressionismo astratto, ma lo fa continuando a manovrare la macchina, alla ricerca delle supposte possibilità creative del mezzo, entro i limiti della scelta del soggetto, dell’inquadratura, della prospettiva. In quest’ordine di idee sperimentale, la realtà non si dissolve del tutto, ma si scompone in particolarità autoriflessive. I corpi e le cose sono usati come campi frammentari di spazi e ombre, che ripropongono però, seppure aggiornate alle nuove poetiche, le tradizionali parole d’ordine dei fotografi artisti: l’espressività, le intensità emotive, gli stupori formali e così via. Ma come si è già detto, spazi ed ombre, corpi e cose non perdono del tutto la loro riconoscibilità. 

Adottando di nuovo alcuni concetti della critica letteraria, applicabili in generale a tutte le arti, in ogni opera si ravvisano un interesse tematico (estroverso) e un interesse inventivo (introverso), sempre entrambi presenti, ma con diversa preminenza.

L’interesse tematico si ha quando l’espressività dell’opera d’arte (o lo scopo evidente della fotografia), attrae l’attenzione del fruitore sul mondo della realtà esterno ad essa: per esempio Guernica di Picasso, che ci costringe a “vedere” il bombardamento della città spagnola da parte dell’aviazione nazista. L’interesse inventivo prevale invece quando l’attenzione del fruitore è indirizzata al mondo interno all’opera, per esempio Les demoiselles d’Avignon, che  inaugura la poetica del cubismo ed è fondamentale per questo, e non per le prostitute del bordello che rappresenta.

Di solito le avanguardie sono inventive (Strand, Weston, Frank, Steinert, ecc.), mentre l’intento documentario è tematico (Stieglitz, Hine, Cartier-Bresson, ecc.), ma come si è detto entrambi i modi sono sempre presenti, e la fruizione può addirittura invertire l’ordine di apprezzamento.

11 ap 13 0,91Leonardo Terzo, To Enter or Not to Enter, 2013

Quando invece il fotografo entra nel regime dell’arte in cui la fotografia è solo un contributo, anche i criteri di giudizio dell’apporto fotografico escono dai canoni della sola visibilità, tanto più quella referenziale, e l’elemento fotografico partecipa all’orgia iperfunzionale di tutte le pratiche estetiche. Infatti, a prescindere dalla fotografia, è il senso dell’arte stessa che evolve (vedi di seguito il cap. 2. 8. sulle funzioni dell’arte), passando dalla funzione innovativa del modernismo alla funzione teoretica, che viene a maturazione consapevole nell’ultimo quarto del Novecento. Di fatto l’arte demolisce due proprietà specifiche della fotografia: da un lato tutta l’arte esce dalle cornici e aggredisce lo spazio, diventa happening, arte concettuale, body art, land art, e questo, per la fotografia che vi partecipa, è ancor più significativo, perché distrugge uno dei suoi pilastri costitutivi che era l’inquadratura.

L’altro aspetto che l’arte carpisce alla fotografia è la sua riproducibilità, con quella mimesi della produzione industriale che è la pop art, e in seguito l’arte digitale. D’altro lato invece essa incide di nuovo sull’arte per l’altro suo elemento costitutivo, la referenzialità, che la rendeva già “trasparente” alla vita, cioè ad uno degli obiettivi con cui una notevole parte dell’arte contemporanea cerca di rimescolarsi e trasfondersi.

Peraltro in questa nuova commistione, quando l’impegno tematico estroverso: politico, etico e civile, degli artisti sembra commutarsi del tutto nell’introversione inventiva, mentre da un punto di vista teorico dovrebbe raggiungere il massimo della compiutezza estetica, di fatto, a mio parere, i due piani restano quasi sempre separati e incomunicabili alla fruizione sensoriale del pubblico: per esempio, Beuys, Pistoletto, Paolini ed altri. Perciò le opere devono venir faticosamente introdotte da interventi propedeutici ed esplicativi degli autori stessi o dei critici conniventi, perché il pubblico non è in grado di collegare l’opera al mondo.

Leonardo Terzo