Leonardo Terzo, La letteratura, signora mia, non è più quella di una volta, London, 2010.
Ci sono diverse idee sul concetto di letteratura, su cosa si intenda per essa e addirittura se essa esista in realtà. Per cominciare, possiamo dire che la letteratura è un concetto e, dal punto di vista materiale, cioè dal punto di vista dei testi che possano essere considerati letterari, dobbiamo dire che la letteratura è tutto ciò che viene usato come tale.
Per esempio Il principe di Machiavelli è un trattato di teoria della politica, ma nei nostri licei si è sempre letto come un testo di letteratura, lo stesso dicasi per The Decline and Fall of the Roman Empire (1776-1788) di Edward Gibbon, che è un libro di storia, ma che ora viene letto più per le sue qualità letterarie che come testo di Storia, che pure mantiene un suo interesse.
Viceversa la “critica culturale” contemporanea, ormai peraltro in declino, legge i testi letterari per dedurne e demistificare i loro significati ideologici, e quindi di fatto li legge come documenti politici della cultura dominante e come strumenti di indottrinamento. In questo modo la letteratura perde la sua specificità di discorso estetico e viene ridotta a documento storico o sociologico. Così The Tempest di Shakespeare diventa un esempio di propaganda che, sotto la veste della favola, giustifica l’espansionismo coloniale inglese al tempo delle prime esplorazioni geografiche. Come si vede è il modo di considerare un testo che gli attribuisce una funzione letteraria o meno.
In un “Diario minimo”, la rubrica che Eco teneva sulla rivista Il Verri negli anni Sessanta e Settanta, egli immagina che fra cinquecento anni degli archeologi scoprano frammenti di un libro di tale Paves intitolato Lavorare stanca, e dal titolo ne deducono che si tratti di un manuale di psicotecnica del lavoro. Naturalmente dire che la letteratura è tutto ciò che viene usato come letteratura, fa scaturire la domanda: e qual è quest’uso? Bisogna cominciare a vedere che cosa ha significato il termine letteratura nel tempo, e cosa significa oggi, quando viene messa in dubbio la sua realtà stessa.
In Inghilterra, ma più o meno in tutto il mondo cosiddetto occidentale, il concetto di letteratura diventa autonomo rispetto ad ogni altro genere di testi solo nell’Ottocento, di pari passo all’interesse nazionalistico per la “Letteratura Inglese”. In genere infatti in tutti i paesi europei il concetto di Letteratura come corpus di testi specifici si forma in parallelo all’interesse per un canone di grandi autori, che contribuisca alla formazione del sentimento di appartenenza alla Nazione. Così l’Italia canonizza Dante, Petrarca, Ariosto, Leopardi, Manzoni ecc. la Germania Goethe e Schiller e altri, la Spagna Cervantes, l’Inghilterra Chaucer, Shakespeare, Milton, Austen, Dickens ecc. tutti usati per costituire la tradizione.
L’uso stesso dei termini “testo” ed “opera”, implica modi diversi di considerare lo stesso oggetto. Il termine testo è più recente e implica il tessuto delle parole sulla pagina, quindi è di fatto più generico, proprio perché vuole sottrarsi al termine “opera”, più carico di pregiudizi, in quanto implica che si sappia che si sta parlando di qualcosa già classificato in una categoria come i generi letterari, e soprattutto prodotta da un autore. Mentre “testo” vuole essere più indeterminato, almeno a priori, cioè sarebbe qualcosa che il lettore eventualmente a posteriori collocherà, se lo ritiene, in un genere, oppure no, lo attribuirà ad un autore oppure no. Vedi il saggio di Roland Barthes, “Dall’opera al testo” (1971), in Il brusio della lingua, 1984.
La distinzione tra la finzione e la rappresentazione con intenti di verità si risolve non sul piano delle proprietà del linguaggio, ma sul piano della funzione del linguaggio. Sia la rappresentazione inventiva sia quella referenziale usano lo stesso linguaggio, solo che in quella inventiva l’autore e il lettore sono interessati alla forma sensibile del testo, e non al fatto che ciò che è raccontato corrisponde o meno alla verità. Nella rappresentazione reale o referenziale l’autore e il lettore sono interessati alla fedele corrispondenza di quanto è riportato con la realtà del mondo reale.
Nel primo caso l’interesse è estetico e giudica se la rappresentazione è bella o brutta, non se è vera o verosimile. Nel secondo caso l’autore e il lettore del racconto sono interessati alla verità e non alla bellezza. Quindi l’apprendimento dei due tipi di rappresentazione avviene con una disposizione analitica e interpretativa diversa, perché rivolta ad aspetti diversi del testo, ma dal punto di vista linguistico, retorico, stilistico il testo potrebbe essere identico. Un giornalista che trucca il suo racconto per renderlo più bello o più commovente è un imbroglione. Mentre un romanziere che raccontasse una storia vera, non può pretendere che il suo racconto piaccia al lettore solo perché è vero. Sarà anche vero, ma se è brutto, il narratore ha fallito il suo compito.
Poiché in ogni modo la letteratura è una forma di comunicazione, in altre parole è una comunicazione per mezzo della finzione, ciò che è comunicato riconduce alle funzioni del linguaggio, indicate a suo tempo da Jakobson. Riguarda cioè i fini della comunicazione.
Abbiamo così la funzione espressiva della letteratura che dice qualcosa dell’autore (da considerare autore implicito): per esempio il Romanticismo esalta la personalità del poeta. La nozione stessa di autore individuale diventa qualcosa che si esalta come fonte del genio creativo. Quando lo strutturalismo sposta l’attenzione sul codice invece che sull’autore, allora si capisce che l’idea di autore è a sua volta un costrutto culturale che ha una sua storia e addirittura si parla della sua morte. Il 900 rende l’autore implicito, cioè lo incorpora nel testo. Tutto ciò che c‘è da sapere di un autore è nel testo, se non c’è nel testo non ci interessa, altrimenti facciamo biografia o psicologia della persona e non si parla più di letteratura, cioè di opere o testi.
Ma la morte dell’autore è anche qualcosa di più della sua incorporazione nel testo, perché toglie all’autore il merito della costruzione dell’opera e da un lato lo sposta sui sistemi di cui l’autore si avvale (la lingua, la tradizione, il simbolismo, la retorica, e qualsiasi altro tipo di elementi codificati nei vari codici), e dall’altro sul lettore, che sarebbe l’agente interattivo che ricostruisce alla ricezione l’idioletto, ovvero il piccolo sistema che è l’identità del testo.
Poi la funzione fàtica, che controlla il funzionamento del contatto, per esempio quando un mezzo nuovo come il telefono o internet aprono nuovi canali di comunicazione, una grande quantità di messaggi sono contatti che, anche con una certa euforia, non hanno uno speciale contenuto da comunicare, ma servono solo a comunicare la voglia di comunicare, di mettersi in contatto. Ci si rallegra di poter usare le chat-line o la e-mail. C’è poi la funzione pragmatica o emotiva, relativa agli effetti prodotti sul lettore, per esempio la letteratura sentimentale o la retorica persuasiva, la letteratura con forti messaggi ideologici e politici.
La funzione referenziale è quella relativa al mondo o contesto, che la letteratura vuole mostrare o documentare. La mimesi è il rapporto che il classicismo instaura nell’antichità come fine primario dell’arte, e viene ripreso più volte nel corso della storia fino al realismo e al naturalismo. Dopo di che nel ‘900 il modernismo pone invece l’accento sulla rappresentazione come costrutto umano, che rispecchia le tecniche, i punti di vista, la soggettività del modo di vedere il mondo oggettivo, e come si è già detto la realtà è sostituita dall’autenticità del vissuto.
C’è poi la funzione metalinguistica relativa al codice: è affine ad altre due funzioni e si pone tra di esse, cioè tra quella fatica e quella autoriflessiva: esplora le potenzialità dei mezzi e delle forme, come il metaromanzo, ma anche la videoarte e l’ipertesto. E infine la funzione estetica o autoriflessiva che attira l’attenzione sul messaggio, le forme, gli stili.
Naturalmente la letteratura è un’istituzione della cultura che ha a che fare con tutti gli altri elementi di una società, quindi con le case editrici e l’industria culturale, con le istituzioni pedagogiche, per cui viene studiata a scuola e nelle università, e si collega alle ideologie che coesistono e si contrappongono nella società stessa. Qui ideologia viene usata in senso neutro, come sistema di idee e valori consapevole o implicito. In questo senso la funzione della letteratura come istituzione autonoma crea ed è creata da un gruppo di addetti ai lavori, come gli editori, gli scrittori, gli insegnanti, i critici, e poi i ministeri dell’istruzione, della cultura ecc. e finisce inevitabilmente per essere strumento di stabilità culturale e sociale.
Fin da Platone (c. 427-347 BC) la teoria della letteratura è detta “poetica” e “poeta” e “poesia” sono i termini con cui si indicano gli scrittori e la letteratura tutta, sia in prosa sia in versi. Il termine “letteratura” sostituisce come termine generale “poesia”, o per lo meno gli si affianca, solo a partire dal ‘700. Dal Medio Evo al 700 il termine “letteratura” indicava per lo più il sapere delle singole persone, ciò che ora chiamiamo la cultura di una persona. Samuel Johnson nella vita di Milton dice: “His literature was unquestionably great. He read all the languages, which are considered either as learned or polite. ” Quindi letteratura sta per conoscenza generale che era acquisita sui libri. E non si riferiva dunque alla letteratura d’invenzione. Era comunque però un termine apprezzativo di distinzione poiché solo una ristretta parte di persone poteva avere accesso ai libri, e la grandissima maggioranza non sapeva leggere.
Nella seconda metà del 700 letteratura venne a significare la produzione dei libri da parte degli scrittori, e col Romanticismo acquisì il senso apprezzativo di opere di valore. Quindi il termine letteratura venne contemporaneamente ad assumere nell’800 il significato di valore estetico e di letteratura nazionale, cioè era costituita dagli scrittori di valore della nazione. In sostanza diventa il significato attuale: insieme di opere importanti di un paese, di un periodo.
Matthew Arnold, grande poeta e ministro della pubblica istruzione è il primo a dare questa definizione di letteratura nel 1864 nel saggio “The Function of Criticism in the Present Time. ” Il termine poesia continuò comunque ad essere inteso anche per tutta la letteratura e non solo per quella in versi, e anche con una connotazione positiva, fino ad ora. Croce distingue tra poesia, le opere valide, e letteratura, cioè le opere non riuscite. Normalmente per senso comune “letteratura” oggi, o almeno nella prima metà del 900, significava: un gruppo di opere che hanno una loro coerenza, sono d’invenzione e hanno un valore estetico.
Oggi si tende ad attribuire maggior valore ai lettori e non agli autori, così appunto è letteratura quella usata dai lettori come tale. Da un certo punto di vista è quello che dicevamo all’inizio di Machiavelli e di Gibbon. Una definizione più aggiornata potrebbe essere questa: la letteratura è una serie di testi attorno ai quali si sviluppa un’attività sociale di commenti e discussioni. Questa attività, che conferisce legittimazione alla letteratura, non ha le proprietà dello studio scientifico, ma mira piuttosto alla condivisione di esperienze vissute a contatto con quei testi. Le caratteristiche che molti propongono per definire i testi letterari non sono sufficienti e necessarie, ma piuttosto molteplici e contraddittorie.
Leonardo Terzo
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