Primitivismo e avanguardie del ‘900

rituali antiindustriali contemporaneiLeonardo Terzo, Ritualità antiindustriale contemporanea, 2015

Il rapporto delle avanguardie del ‘900 col “primitivismo” consiste sostanzialmente nell’imitazione delle decorazioni e delle immagini delle popolazioni ritenute “primitive”, “tribali”, “selvagge”, “non civilizzate”, scientificamente e tecnologicamente non sviluppate, in primo luogo africane, ma anche dell’Oceania e dei nativi americani. La denotazione principale è relativa a qualcosa di primordiale e di conseguenza putativamente irrazionale, ingenuo e non sviluppato.

Questo presunta arretratezza ha un aspetto propriamente formale relativo alle tecniche di rappresentazione e disegno, che appaiono attraenti all’artista modernista per la loro genuinità e semplicità di base. L’aspetto formale è infatti soggetto di per sé a diversificazioni e ripetizioni, con attribuzioni variabili o ricorrenti, legate alla funzione dei sensi come mezzo di riconoscimento e orientamento tra le forme del mondo.

Le forme sensibili hanno naturalmente una funzione come supporto materiale di significati, ma anche di energie spirituali, più o meno fluttuanti, irrazionali e magiche.

In questa funzione è insita una serie variabile di esiti, perché un medesimo significante, cioè la stessa forma, può avere lo stesso significato oppure significati diversi, come “do” in italiano può essere una nota musicale oppure voce del verbo dare. Così la stessa immagine può rappresentare la stessa cosa in Italia e in Papuasia, oppure cose diversissime, formalmente identiche solo per casuale coincidenza. In arte la forma ha di per sé il fascino sensibile che può calamitare nel corso del tempo i significati più vari, con o senza legami intenzionali.

Queste peculiarità delle forme sono alla base del fatto che il modo di intendere il concetto di arte è a sua volta diverso e discorde, non solo nei diversi contesti antropologici, ma anche per esempio nell’estetica occidentale contemporanea.

Gli antropologhi cercano comunque di mostrare l’intrinseca complessità delle culture “primitive”, al di fuori di una concezione evoluzionistica dal semplice al complesso, dalla magia alla religione, alla scienza. Resta però il fatto che le forme delle culture “altre”, se non le si vuole intendere come primordiali, sono comunque lontane, e questa lontananza è interpretata e acquisita per fini e secondo intendimenti diversi da ciascun artista o gruppo di artisti.

Se il fascino di tutte le forme è innegabile, e quindi ogni acquisizione può avere un intendimento diverso, ciò che accomuna il fascino della lontananza e del diverso è appunto questo: diversità e lontananza.

Naturalmente i problemi con l’evoluzionismo producono contraddizioni come per esempio l’ipotesi che l’apprezzamento dei modernisti per le immagini elementari dipenda dal fatto che anche nell’uomo moderno qualche elemento originario sia rimasto negli strati inconsci della psiche e negli strati arcaici del primo sviluppo del cervello.

Nelle immagini primitive i modernisti cercano qualcosa di assoluto, un’umanità “naturale” integra e totale, che si ritiene esistesse appunto all’origine, non ancora contaminata dall’alienazione della società industriale. I cubisti peraltro cercano l’impatto emotivo della trasgressione formale; i surrealisti prediligono il demone “automatico” che emergerebbe dall’immaginario primordiale.

Nel solco della ricerca romantica dell’infinito, è presente in queste scelte una motivazione assimilabile alla fuga in un altrove edenico. La debolezza e la perdita di influenza sociale e politica spinge gli artisti e gli intellettuali a cercare una compensazione illusoria nel rifiuto della visione razionale e realistica, inaugurata nelle arti dalla prospettiva rinascimentale, e forse sepolta per sempre dall’avvento della fotografia.

Ironicamente, i modernisti diventano tali per sottrarsi alla modernità della vita ordinaria e all’ideologia del progresso. Fa eccezione il futurismo, che cerca invece in direzione opposta, accettando l’alienazione trasfigurante del futuro, e aspirando all’eliminazione dei deboli con la violenza purificatrice della guerra.

In un’altra direzione ancora è invece il prevalere del concetto sulla percezione, della mente sull’occhio, della coscienza sull’azione, dell’ermeneutica sulla fenomenologia.

Nel loro contesto gli oggetti dell’arte esotica sono materializzazioni di entità spirituali, come in tutti i rituali religiosi: per esempio l’eucarestia per i cattolici. Perciò la dimensione visuale si trasforma in entità spirituale e psicologica, in un processo regressivo, metamorfico e feticistico, tutti caratteri molto attraenti per gli artisti in cerca di una forza che ridia loro qualcosa del potere perduto.

Del resto l’arte, anche nella concezione occidentale e tradizionale, è un investimento simbolico che si presta alla regressione come all’eccitazione, alla fuga come all’attacco. Il reimpiego delle forme arcaiche può così voler essere un modo per rinnovare energie ideali smarrite dall’occidente e indirizzarle ritualisticamente contro la presunta civiltà attuale. Queste scelte si possono giudicare sia come nuovo impegno politico coi mezzi di un’estetica rinnovata, sia come fuga regressiva dalle responsabilità del presente in modo non politico e non razionale, cioè l’illusione di poter combattere la civiltà con la magia.

D’altra parte la società moderna ha dimostrato di poter neutralizzare ogni tipo di minaccia estetica e simbolica, anche di quei movimenti nati con espliciti intenti rivoluzionari: dal surrealismo al dadaismo, dall’espressionismo all’arte povera, all’arte concettuale. Tutto è stato addomesticato, fagocitato, assimilato e digerito dal mercato.

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