Leonardo Terzo, Selfportrait, Bacon’s Way, 2015
La fotografia e il cinema, all’inizio della loro invenzione e diffusione, sono stati accolti come mezzi innovativi per osservare e conoscere la realtà. In una seconda fase sono stati invece considerati insufficienti come documentazione e poi addirittura comunicatori del non vero, sia in quanto rappresentazione da un determinato punto di vista e non realtà oggettiva, sia in quanto invenzioni immaginarie. Queste sono opinioni sbagliate.
In primo luogo tutte le finzioni, per esempio anche quelle letterarie o artistiche, sono intenzionalmente inventate per ipotizzare situazioni di realtà possibili. Aristotele sostiene addirittura che la finzione è superiore alla Storia perché la finzione, oltre a raccontare dei fatti come la Storia, vi aggiunge anche un significato “filosofico”, cioè un’interpretazione, che i fatti reali di per sé non avrebbero.
In secondo luogo, quando le riprese fotografiche e cinematografiche hanno un intento di documentazione, ciò che esse alla fine fanno vedere non sono riduzioni di ciò che possiamo vedere dal vero nella nostra esperienza, perché anche la nostra esperienza vede e capisce ciò che può dal punto di vista in cui si è, esattamente come una macchina fotografica o cinematografica, che infatti riprendono ciò che l’operatore vede e testimonia nella sua esperienza del momento.
L’obiettivo fotografico ha un’inquadratura che limita la sua visione, ma anche l’occhio umano ha un punto di osservazione che limita la sua possibilità di vedere. L’equivoco, secondo me, nasce dal fatto che, quando osserviamo qualcosa personalmente, comprendiamo o crediamo di comprendere ciò che vediamo, sia perché siamo presenti, sia perché la nostra enciclopedia di conoscenze classifica e razionalizza ciò che vediamo.
Quando vediamo una fotografia o un film, soprattutto se non ne siamo gli autori, crediamo che la nostra razionalizzazione conoscitiva delle immagini sia condizionata e limitata dalle scelte fatte a suo tempo dagli autori. Se gli autori siamo noi, riteniamo quelle immagini cariche di significati che la memoria della nostra esperienza ci recupera. Quando guardiamo immagini riprese da altri, le consideriamo limitate da una collocazione spaziale e temporale che noi non possiamo integrare con la memoria e la coscienza. Se non crediamo di poterle capire, ciò è dovuto ai nostri limiti, non ai limiti delle riprese.