Zoran Music, Non siamo gli ultimi.
- Arte e genocidi, informazione e piacere
Partendo da Adorno e dalla sua dichiarazione che scrivere una poesia, cioè produrre arte, dopo Auschwitz, è un atto di barbarie, possiamo dire che pretendere, come Adorno, di dare senso universale ad una angoscia (delirio?) contingente è tipico dei filosofi o in genere di coloro che hanno introiettato una superbia egoica irrefrenabile. Essa di solito si manifesta elevando a senso o legge universale il caso specifico che l’individuo sta vivendo (confusamente?) in quel momento.
Naturalmente in molti momenti della propria esistenza si può essere sotto shock, ma questo non dà lo stesso il diritto di dire idiozie. Vediamo come una cosa del genere possa essere successa ad Adorno.
Lo sterminio e il genocidio di intere popolazioni non è una cosa rara nella storia dell’umanità, tutti le conosciamo, e non c’è bisogno di enumerarne nessuna come esempio. Stermini e genocidi ce ne sono sempre stati e continuano anche adesso, in varie parti del mondo. Naturalmente ciò che colpisce di più sono gli eventi che ci riguardano o che ci sono almeno più vicini. Io peraltro ritengo che l’omicidio anche di una sola persona sia egualmente grave e inaccettabile quanto quello di persone innumerevoli. Credo che in caso di etica non valga quell’idea per cui la quantità di un fenomeno incida sulla sua qualità.
Se quindi uno shock pur così grande inducesse l’umanità a bloccarsi, e a smettere di fare poesie, ma pure ogni altra attività allora, sarebbe semplicemente un suicidio che concorrerebbe allo sterminio già avvenuto. Quindi non ha senso.
Ma in realtà ci sono altri aspetti della questione che vanno discussi e dipanati. Il primo è che forse (secondo Adorno) non si tratterebbe di smettere ogni cosa, ma solo la poesia. Come mai? I casi possono essere due. Perché la poesia, come ogni arte, non sarebbe una produzione necessaria alla vita. Oppure o inoltre, perché l’arte è finalizzata al piacere, sia quello sensibile, sia quello intellettuale, cioè il piacere nobile della conoscenza; e il piacere rischia di contaminare in modo sacrilego il dolore del lutto.
Il fatto è che nella vita di tutti gli esseri viventi il dolore e il piacere non si confondono o si elidono a vicenda, per cui se abbiamo l’uno non possiamo avere l’altro. Dolore e piacere coesistono sempre in varie proporzioni in vari momenti. Il provare dolore non impedisce di provare successivamente piacere e viceversa e persino contemporaneamente: per esempio quando Zoran Music e Primo Levi, nei campi di concentramento, riescono non solo a sopravvivere, ma persino a utilizzare la loro situazione per capire e analizzare tale esperienza e successivamente trasformarla in pittura (quadri delle fosse comuni che Music ha visto davvero) e letteratura.
Quindi chi sopravvive al dolore ha il dovere di trasformarlo in valore, e il valore per eccellenza, dopo la vita stessa, è proprio il piacere dell’arte, perché assume in sé il senso esemplare della vita e del piacere. L’esemplarità dell’arte è l’esemplarità del formare e realizzare, che poi si applica a tutto per costruire il dato umano del mondo. Il piacere dell’arte si sporge oltre i piaceri esistenziali, ma proviene da essi, raggiungendo il sottofondo di estasi che ogni momento della vita ha, e che l’arte in modo peculiare ha il compito di far emergere e di farci avvertire. Quello che Adorno chiama barbarie è sopravvivenza, resistenza e infine vittoria.
2. Techne, avanguardie e arte di massa
Il senso esemplare che l’arte riesce a dare alla vita è anche il motivo per cui Adorno critica l’arte di massa. Avendo egli ragione e torto in proposito, occorre capire come funziona la possibilità di questo doppio atteggiamento.
Alla base di queste problematiche è anche il fatto che l’arte è esemplare in quanto scelta di valori da parte delle comunità sociali che li elaborano e che indicano le loro arti come sublimazione della propria antropologia o modo di essere.
Ciò significa che non tutti i modi in cui l’esemplarità artistica dei valori si manifesta, come i valori stessi, sono uguali per tutti. Come l’arte degli aborigeni australiani si manifesta in modo diverso da quella per esempio dei preraffaelliti britannici dell’800, così pure la cosiddetta arte di massa americana ed europea della metà del ‘900, rappresenta e comunica dei valori diversi da quelli delle avanguardie dello stesso periodo.
Ci sono persone che apprezzano e valorizzano le une o le altre, o entrambe, ma la funzione che entrambe svolgono presso i loro fruitori è la medesima, e cioè l’ostentazione di modelli di formulazione, che illustrano, in modi che si propongono come esemplari, i principi e la ragion d’essere di tutte le tecniche di produzione e comunicazione.
Adorno disprezza l’arte di massa, e ha il diritto di farlo, ma lo stesso atteggiamento ha senso per il cosiddetto uomo-massa, che trova astruse e poco significative le avanguardie del ‘900 o di sempre. Certamente la comprensione delle avanguardie richiede la comprensione di modi di produzione e comunicazione apparentemente più complessi, ma non è detto che l’arte di massa svolga compiti meno utili e significativi. In modo esemplare per l’uomo-massa, e in modo “pedagogico” per il fruitore delle avanguardie.
Marilyn in una pubblicità della Pirelli