Daily Aesthetics, 12. 12. 2015

piccole streghe Leonardo Terzo, L’indicibile, 2004

3. Dire l’indicibile.

Dire l’indicibile, rappresentare l’irrapresentabile, sarebbero i compiti che l’arte si proporrebbe nella fase di passaggio dal modernismo alla contemporaneità, probabilmente sotto l’influenza del post-strutturalismo e del decostruzionismo.

Dal punto di vista logico, dire l’indicibile, preso alla lettera, non significa nulla: è una dichiarazione contraddittoria senza senso.

Tuttavia, applicato all’estetica, vorrebbe essere l’auspicio che, in qualche modo per ora imprevedibile, in un tempo a venire, si potranno enunciare dei significati che ora non siamo in grado di capire e proferire.

Questo da un lato è ovvio, perché la storia del mondo umano è fatta di innovazioni e scoperte non previste, ma in estetica vorrebbe essere qualcosa di non ovvio, che non pertiene alle nuove scoperte dei vari saperi, ma vorrebbe essere lo specifico modo di essere dell’arte, a prescindere da una corrispondenza con la realtà.

Questo cambiamento era già avvenuto col modernismo, quando il compito dell’arte non era più indicato come “rappresentazione” (quindi mostrare qualcosa che già c’è o già si sa), bensì come “presentazione”, cioè proposizione del non conosciuto, che non descrive o racconta l’avvenuto, che sappiamo da altre fonti, ma lo fa avvenire per la prima volta nell’opera che si svela ai fruitori.

Già il modernismo, storicamente a partire dalla scoperta dell’America, aveva cambiato il modo di intendere l’arte, non più come illustrazione dei saperi e dei valori della comunità, ma come ricerca dell’originalità. Il culmine di questi principi di poetica è il periodo dal romanticismo al modernismo appunto, cioè le avanguardie.

Il romantici, e possiamo prendere come prototipo “L’infinito” di Leopardi, enunciavano un modo visionario di percepire il mondo, che consisteva nell’esprimere un desiderio di trascendimento, e i sentimenti che tale aspirazione nutriva.

In taluni casi, per esempio nell’impressionismo e post-impressionismo, nel cubismo, nel surrealismo, fino al dadaismo, il trascendimento perviene a novità concrete nel percepire, raffigurare e dichiarare il mondo. Ciò è stato possibile nelle arti visive, perché nello stesso momento storico l’immagine nella vita e nell’arte prende il sopravvento sulla parola, sia poetica che filosofica.

Anche il romanzo modernista da Proust, a Kafka, a Joyce, ottiene risultati, derivanti dal nuovo modo di percepire e trascendere il reale, ma, a differenza delle arti visive, resta un’arte elitaria, mentre le masse sono conquistate sempre più dalle immagini, dalla fotografia e dal cinema. Non parliamo della poesia modernista, che, con altissimi risultati estetici, dice la demoralizzazione derivante dalla consapevolezza del suo ormai avanzato processo di estinzione.

Tuttavia le avanguardie, quando presentavano le loro creazioni innovative, motivavano in tanti modi il senso del loro lavoro. Il problema è che le loro motivazioni e spiegazioni raramente avevano un senso evidentemente riscontrabile poi nelle opere. O meglio: un quadro di Picasso si può spiegare e motivare in modi innumerevoli, con innumerevoli motivazioni tutte possibili, ma mai del tutto evidenti e convincenti per tutti.

La natura di questa inspiegabilità sta nella differenza del mezzo artistico, che nel caso è la pittura, cioè un fatto visivo, mentre la trasposizione in parole del significato delle immagini è sempre opinabile, problematica e aperta alle interferenze delle opinioni altrui. L’unico artista d’avanguardia pienamente convincente nello spiegare il suo lavoro è stato Duchamp, perché il suo dadaismo era motivato da un nichilismo assoluto

 

2. Wishful thinking?

Dire l’indicibile può peraltro significare un’altra cosa: non che si dirà ciò che non si può dire, ma che sappiamo che ci sono cose che non riusciamo dire, ma ci sono. Questa incapacità però può derivare da motivi diversi. Il più conseguente sarebbe che non sappiamo dirlo perché non c’è in realtà ciò che immaginiamo che ci sia. Quindi credere che ci sia qualcosa che non sappiamo dire è a sua volta immotivato.

Ma il problema è che chi formula questa teoria desidera comunque credere che ci sia. È ciò che in inglese si dice “wishful thinking”: è qualcosa che sappiamo benissimo che non c’è, ma ci piacerebbe tanto che ci fosse. Ma se non sappiamo che cos’è, cosa diavolo desideriamo che ci sia? Non lo sappiamo, ma continuiamo a nutrire l’illusione che ci sia. In tal caso l’arte sarebbe l’arte consolatoria di illudersi.

Ci sono inoltre due significati del verbo essere, che infatti risponde a due domande diverse: 1. C’è? 2. Che cos’è? La prima riguarda l’esistenza, la seconda riguarda l’essenza. L’arte a quale delle due intende rispondere? O ad entrambe?

Sembrerebbe che l’arte voglia rispondere positivamente alla prima, ma non sappia rispondere alla seconda. Il che è possibile, e i teorici dell’estetica contemporanea hanno infatti questa posizione. Tuttavia si può sospettare che, non potendo rispondere alla seconda, in realtà è immotivato credere di poter rispondere anche alla prima. I teorici dell’estetica contemporanea che hanno questa posizione fanno del “wishful thinking”.

 

3. La teoria del “dire l’indicibile”:

a) può essere semplicemente falsa;

b) può non aver senso perché l’arte presenta o rappresenta, ma non “dice”;

c) può indicare un desiderio inappagabile;

d) può nutrirsi del fascino del fallimento;

e) può essere solo un inganno verbale annidato nella formulazione teorica

f) può dire effettivamente cose nuove e finora impensate;

g) è un’intellettualizzazione della deriva concettuale;

h) la sua procedura potrebbe riscontrarsi per esempio nell’arte materica.

 

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