Pinocchio come Webserie: terza puntata.

Resti di Grillo parlanteReperto di Grillo parlante

Tra un capitolo e l’altro la voce del narratore fa da raccordo, commenta quanto appena avvenuto e anticipa, anche con toni eccitati, quanto sta per raccontare, per suscitare la curiosità degli ascoltatori. Sembra il tipico cantastorie che intrattiene un pubblico di fronte a lui, quindi con gli atteggiamenti della narrazione orale, di origine epica. Ma qui è satirica, e i suoi giudizi sono netti.

Liberato dal carabiniere, Pinocchio corre veloce a casa, paragonato ad un leprotto o un capretto inseguito dai cacciatori. Da cosa è inseguito Pinocchio? Da nulla. Piuttosto è spinto dalla vitalità della vita. Infatti appena a casa si siede per terra tutto contento. Senza motivo, ma il motivo è la libertà: si sente padrone di sé.

Proprio per questo, nell’innocenza ignara, entra in scena la morale. Fatta dal Grillo parlante, col quale il confronto ha immediatamente una motivazione materiale che si potrebbe definire geopolitica. Si discute con modi spicci su chi ha il diritto di stare nella stanza, ma anche sul senso di starci. E Pinocchio annuncia che se ne andrà l’indomani per evitare la scuola e tutto ciò a cui sono obbligati i ragazzi, e fare invece una vita da vagabondo che si diverte e basta.

Come fa Pinocchio a sapere della scuola e tutto il resto? Lo sa perché Pinocchio è stato concepito già con tutto il bagaglio di conoscenze dei bambini che ascoltano la sua storia. Egli è la proiezione delle loro pulsioni alle prese col mondo che deve trasformare queste pulsioni in coscienza, buona o cattiva che possa diventare.

Il grillo lo deride e prevede brutte conseguenze per lui. Esprime la sua compassione, con delle motivazioni veritiere: perché Pinocchio è un burattino e ha la testa di legno. Il che è vero, ma proprio per questo oggi considereremmo queste frasi “politicamente scorrette”. Perché ciò che viene criticato e trasformato in insulto non è un comportamento, ma la natura fisica stessa del suo interlocutore.

La bellezza del racconto è data anche dalla capacità del narratore di attraversare tutte le dimensioni della finzione e di giocare con la comunicazione linguistica: la metafora “testa di legno” è un insulto, che però qui corrisponde alla lettera della condizione del burattino.

Pinocchio reagisce tirandogli un martello e lo spiaccica sul muro. Il narratore commenta che forse la cosa è involontaria. Ma dal punto di vista drammatico è la conclusione perfetta di un conflitto che ha trasceso ogni limite.

Pinocchio è un burattino che ha fame, prova bisogni e desideri umani, attraversa le sorprese della realtà, come per esempio l’uovo che da cibo diventa uccellino e vola via. Di fronte alle traversie che gli capitano Pinocchio riconosce che forse il grillo aveva ragione. Si brucia i piedi di legno e accusa il gatto di averglieli mangiati. Tutte queste sorprendenti esperienze vengono confusamente riepilogate da Pinocchio stesso al ritorno di Geppetto, e si concludono con la lezione sull’opportunità di mangiare anche le bucce in caso di necessità.

Di qui, tutta una serie di episodi, a partire dalle bucce delle pere al rifacimento dei piedi, all’acquisto e alla rivendita dell’abbecedario, illustrano la dedizione di Geppetto e la labilità delle promesse di Pinocchio. La serie di episodi, per cui abbiamo paragonato il libro a una webserie, costituiscono una trama frammentaria, il cui fine e la cui coerenza non è data dalla continuità, ma dall’accumulo enciclopedico.

Come genere letterario perciò Pinocchio è piuttosto una satira menippea, cioè un’enciclopedia satirica, che illustra l’insieme dei valori di una comunità, ma non per esaltarli, come l’epica, bensì per demolirli. Si potrebbe obiettare che l’ideologia esplicitata sia quella dei valori del perbenismo borghese, ma il livello sociale dei protagonisti è proletario. Geppetto non si ribella, e suo figlio, carico di ribellismo giovanile, politicamente inconsapevole, rappresenta il tipo sbagliato di rivolta contro un mondo ingiusto. Geppetto non è certamente rivoluzionario, eppure resiste, per lo meno sotto la bandiera dell’onestà.

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