Breve traccia del sublime 2: il bello come sublime catagogico.

vecchia casa 11Anna Paschetto, La vecchia casa dei Nazzarotti, 2003

Si può sostenere che già il bello contiene un cenno alla trascendenza, in termini di concezione stessa della bellezza come intuizione e istituzione di un appagamento percettivo che nell’armonia individua e stabilisce la capacità di congiungersi, rapportarsi ed evidenziare la correlazione dei materiali del mondo nel formalismo della forma.

La quale forma aspira e perviene ad una perfezione la cui fonte è la materialità stessa che si offre ai sensi, e la bellezza la trasfigura in relazione all’intelletto. L’intelletto, che è astratto ed astrae, pervade la forma sensibile della materia, invadendola ed insinuando in essa una vitalità correlata cioè collegata.

Adottando il paradigma della creazione, il miracolo sta nell’infondere un’anima di intelligibile alla materia “vile” dei significanti, che però solo in quanto tali sono in grado di sostenere e produrre, esibendoli, il valore dei significati.

La bellezza è infatti ostentazione, spettacolo, che nella sua dimensione catagogica, ci riporta ad uno stadio che precede la coscienza. Ed allora il bello è la via catagogica, cioè inversa, dello slancio di cui consiste il sublime. Esso, nell’utilitarismo della formulazione pragmatica, liberato da ogni pragmaticità, ed in ciò consisterebbe il bello, realizza già il distacco del bello dall’utile, che poi proseguirà ancora nello slancio del sublime. In questo meccanismo perciò il bello è già sublime, ma adattato ad un primo risultato dominato e appagato dal concetto di armonia.

La crisi moderna del senso della vita, interpretato e reso clamoroso dall’arte contemporanea, ha reso il sublime il sentimento diffuso dell’ostensione dell’indicibile, che è poi la conversione semantica e semiologica dell’infinito romantico: cioè senso di impotenza che esprime la potenza della vitalità superstite. Il concetto più icastico di questa situazione è il fluttuare del significante.

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