Sulle vere o presunte “aporie della bellezza”, in G. Azzoni, Nomofanie. Esercizi di filosofia del diritto. Torino, 2017

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La Gioconda di Pavia

Il capitolo 15 del recente libro di Giampaolo Azzoni, Nomofanie. Esercizi di filosofia del diritto, (Giappichelli Editore, Torino, 2017), è intitolato “Aporie della bellezza” (pp.271-75), e offre interessanti spunti di riflessione sull’uso della bellezza come integratore veritiero o ingannevole, ma sempre efficace, di tutte le comunicazioni.

La bellezza sarebbe un valore che incrementerebbe tutti i campi in cui compare: conoscenza, funzione biologica ed evoluzione, valore sociale ed economico, pedagogia, educazione, giustizia e virtù. Questo effetto sarebbe per esempio a sua volta derivato dalla misura e dalla proporzione. Insomma la bellezza sarebbe un integratore (formale) applicabile a tutti i campi.

Ma esisterebbe anche il rovescio della medaglia: la bellezza produttrice di aporie e aspetti problematici, cioè attriti tra verità e giustizia, tra filosofia e democrazia, che conduce alla conflittualità e alla diseguaglianza.

Eppure non è così. Per esempio non bisogna confondere la bellezza con il diritto di proprietà sulle cose belle. Il conflitto che tale possesso può generare non è dovuto alla bellezza, ma al possesso, per cui la bellezza, essendo comunque un integratore, favorirebbe indirettamente la conflittualità.

La conflittualità tra bellezza e altro valore o ente (giustizia ecc.) è in realtà tra motivazioni (diverse) dell’apprezzamento, che talvolta fa prevalere l’estetica sull’utilità, e talvolta fa prevalere l’utilità sull’estetica. O meglio: fa prevalere un’utilità pratica sull’utilità bella, ma secondaria o sottostimata.

La polemica sulla bellezza è polemica sulle sue motivazioni. Non è la bellezza che indica ciò che è più adatto, ma è l’adattabilità che viene considerata bella. Così pure, per esempio, la crescita del sapere e ogni altra finalità.

Come dice Leopardi nello Zibaldone: la bellezza è convenienza.

[La convenienza al suo fine è quello in cui consiste la bellezza di tutte le cose, e fuor della quale nessuna cosa è bella.
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 1817/32 (postumo 1898/1900)]

Le cosiddette “aporie della bellezza” sono aporie della motivazione estetica. E la convenienza della bellezza va individuata a livello formale.

I livelli formali sono tre:

  1. a) le arti applicate (dall’architettura ai videogiochi), dove l’applicazione determina la forma;
  2. b) le arti figurative, che rappresentano aspetti riconoscibili del mondo, e la riconoscibilità determina il valore;
  3. c) le arti astratte, dove la forma si autocelebra, con motivazioni contingenti.

La bellezza non è uguale o opposta alla verità. Sarebbe un confronto senza senso. La differenza non è tra bellezza e verità, ma coi loro rispettivi opposti, cioè bruttezza e falsità.

Un conflitto (etico, politico ecc.) che utilizzi la bellezza (come integratore delle proprie ragioni), sublima la materia del contendere in forma, cioè vorrebbe trasformare l’utilità pratica in piacere, il che purtroppo è efficace.

Infine ancora, la bellezza delle persone non è semplicemente o affatto estetica, ma valoriale, nel senso che riunisce sotto un giudizio estetico di comodo una quantità di elementi del carattere e della personalità

Per converso la violenza e l’emarginazione che si appellano a motivazioni estetiche sono un’estensione o una maschera ingannevole per giustificare una discriminazione etica, giustificabile o meno, con false evidenze. L’estetica si presta a questi inganni perché si affida ad una componente “sensibile”, che confonde la ragione. Il pomo di Paride è il correlativo oggettivo della confusione umana.