Leonardo Terzo, Tecnologia e natura, 2017
Il rapporto tra arte moderna e politica viene visto dagli studiosi dell’argomento in modi diversi. L’arte moderna (1860-1950) può essere autonoma perché la borghesia non sa che farsene, e la sua opposizione, o per lo meno la sua diversità e quindi separazione, seppure implicitamente anche politica, si esprime solo in termini formalistici, come del resto è proprio dell’arte.
Poi invece la borghesia decide di appropriarsene (ricordiamo che Le salon des refusés fu voluto da Napoleone III), e la critica sembra svuotarsi anche ufficialmente di ogni riferimento politico. E tuttavia la critica sociale la tiene in qualche modo a disposizione, come di riserva, in maniera velata.
Negli Stati Uniti, non risulta nemmeno questa riserva, perciò per l’espressionismo astratto e la pop-art non si pone il dilemma tra essere o non essere politicamente significativi in senso critico. Questo sarebbe l’effetto dell’industria culturale, cioè lo spostamento e spargimento dell’innovazione formale dall’arte ai beni di consumo. E allora, mentre l’industria si appropria dell’invenzione formale, per ripicca, o per conferma, l’arte si appropria delle immagini della merce con la pop-art.
Prima ancora, in Europa fascismo e nazismo inventano nuove forme che, sebbene chiaramente monumentali e stilisticamente autoritarie, non sono per questo meno diverse dalla quieta e istituzionale arte borghese, di cui di fatto sono una negazione “dittatoriale”.
Il fatto che la possibile critica e opposizione dell’arte si è potuta esprimere in una quantità di formalismi diversi: dadaismo, futurismo, produttivismo, surrealismo, cubismo, costruttivismo, etc., dimostrerebbe che la particolarità stilistica di ogni movimento sia poco rilevante di per sé, e l’unico significato comune sia la volontà realizzata di trasformare l’arte, come desiderio, però non realizzato perché non realizzabile, di trasformare la società. E anche in modi differenti. Per esempio dadaismo e futurismo sono i più politicamente impegnati, ma su fronti opposti: il dadaismo vede la guerra come follia, il futurismo invece come liberazione.
Invece il cambiamento realizzato, perché realizzabile, è stato la trasformazione della società borghese in società di massa, ma ovviamente anche qui l’efficacia delle arti è problematica, e le cause non sono principalmente estetiche e nemmeno politiche, bensì tecnologiche. Non a caso l’epoca dalla metà dell’800 alla metà del ‘900 è stata vista come età della tecnica, poi degenerata addirittura in “scientismo”, causa di tutti i mali.