Format

 

Appunti sul format

di Leonardo Terzo

 

Il format è un termine che in vari ambiti indica una forma e una misura, per esempio una tipologia di collocazione spaziale e temporale in una qualsiasi attività, oppure un modello di produzione televisiva o radiofonica. Rapportato alla terminologia delle categorie letterarie è qualcosa che sta tra il modo e il genere, ma più fortemente determinato dal mezzo. È comunque una cornice fatta di luogo, tempo e pubblico. Quindi: cronotopo interno (luogo e personaggi ripresi) ed esterno (luogo e personaggi interattivi coi registi e col pubblico), ed effetto pragmatico (mirato o previsto). All’estremo opposto, tanto intensamente “autoriale” da rendere irrilevante il “mediale”, lo stile di un autore diventa a sua volta quasi un genere, cucito sull’idioletto delle sue opere. Nel cinema per esempio: Almodovar, Antonioni, Bergman, Bunuel, Chaplin, Fellini, Godard, Hitchcock, Tati, Truffaut.

 

Poiché una “storia” è sempre “qualcuno che fa qualcosa”, anche nel format televisivo l’elemento predominante rimane l’ethos (i personaggi in rapporto all’ambiente) nei suoi adattamenti al mezzo in termini di economia espressiva. Per esempio la diretta televisiva apre la via alla creatività dell’imprevisto e della performance. Tutti i significati e gli effetti performativi derivano dalla diretta, prima radiofonica poi televisiva. La diretta si impiega sia per un evento con una sua struttura, ma una imprevedibilità interna, per esempio gli sport, sia per un’apertura quasi totale come la camera fissa (o anche mobile) di Andy Warhol, o la camera fissa dei circuiti chiusi o stradali, o al contrario quella imprevedibile del servizio sull’evento di cronaca inatteso.

 

Per stabilire il criterio di giudizio bisogna capire la finalità del modello. Ogni genere nuovo scopre e indica una sua finalità inedita o modificata. Mi sembra che i format più significativi siano ora quelli più ristretti, ovvero con l’economia espressiva più concentrata e focalizzata, per esempio Camera Café. Il titolo indica la cinepresa e il luogo (camera), e poi il pretesto (il caffé) dell’incontro tra i personaggi, cioè dell’interazione che fa la trama degli episodi.

 

Format italiani altrettanto ristretti sono Pendolari e Piloti. La realizzazione più bella di un format è quella che raggiunge la finalità del mezzo e si contamina con l’estetica specifica, così che il criterio di giudizio tende a coincidere con la “usability”. Qualcosa di affine è la vignetta che si ripete con gli stessi personaggi come quella di Altan, e subito un po’ più estesa la striscia di fumetto alla Charlie Brown. In questi casi i limiti della vignetta e della striscia sono la cornice che costituisce appunto il format.

 

Quanto più il cronotopo è ristretto tanto più è intenso il rapporto tra i personaggi e lo spettatore. Emerge così che la vera espressione del contenuto (cioè la dimensione del racconto che sfrutta l’economia espressiva del mezzo e la conseguente tecnica del punto di vista intrinseco) è la modalità di relazione dei personaggi, da cui in primo luogo la personalità, per lo più caricaturale e farsesca. La brevità degli episodi infatti intensifica, accelera ed enfatizza. L’enfatizzazione tende di per sé alla caricatura e alla deformazione; l’accelerazione tende alla farsa.

 

La ristrettezza del punto di vista materiale è una misura che ha il suo estremo invalicabile nel buco della serratura. Questo mette in evidenza che tutto il teatro e la finzione narrativa sono un’intrusione più o meno autorizzata nella vita altrui. Un teatro come quello di Beckett, che restringe il campo dell’azione e della visibilità, usa gli stessi criteri “riduzionisti” per intensificare i suoi effetti. Come per Beckett la vita è un’attesa di Godot, così per Camera Café la vita è una chiacchiera davanti alla macchinetta del caffé. La ristrettezza intrusiva del buco della serratura sovradetermina il senso dell’osservazione.

 

Dunque in Camera Café il punto di vista è quello dell’erogatore del caffé, a sua volta posto in un’azienda. I personaggi sono perciò gli impiegati ed eventuali clienti o visitatori, e l’ambiente oltre la prospettiva della macchina del caffé può essere solo evocato dai discorsi e raccontato dai personaggi. Una volta stabiliti i caratteri, le loro avventure sono una reiterazione che ha due effetti possibili, il ritrovamento del noto e la variazione, ovvero una misurata apertura alla problematicità per via di intrusioni occasionali e accumulazioni.

 

Sebbene Camera Café e Piloti siano quasi sempre ben fatti, il miglior format, nella mia esperienza limitata, è The Office, inglese, visibile su MTV, scritto e interpretato da Ricky Gervais, che ha anch’esso il contenuto nel nome del cronotopo. Ma più che i locali dell’ufficio, che pure ci sono, sono i personaggi stessi che costituiscono il cronotopo, anche quando, seppure raramente, escono dai locali dell’ufficio propriamente intesi, perché il legame che li pone in relazione rimane il ruolo aziendale.

 

Questa identificazione anomala del cronotopo coi personaggi e gli attori che li interpretano è un’altra forma di concentrazione. E in un certo senso è tutto ciò che rimane di essa in Little Britain, un format scritto e interpretato da Matt Lucas e David Williams, anch’esso visibile su MTV. Qui infatti tutto è “aperto”, sia come location sia come struttura assolutamente frammentaria, tenuta insieme appunto dal fatto che i due attori e autori interpretano molteplici coppie di personaggi in una svariata serie di situazioni diverse, senza legami evidenti, né consequenzialità tra una scena e le altre. Potremmo dire che la frammentarietà accosta casualmente una serie di format minori e diversi, reiterati in modo apparentemente aleatorio.

 

Ci sono poi i format di non-fiction, per esempio i talk show, i reality, i giochi e i quiz. Tra finzione e spettacolo artistico c’è per esempio La Corrida. Come nel Varieté di un tempo le componenti da mischiare sono finzione, realtà, giochi, gare, arte comica o musicale, pornografia più o meno diffusa. Ma in questo tipo di fiction mista alla non-fiction, la materia prima della comunicazione relazionale è più che altro la vitalità. Purtroppo l’esibizione di energia e vitalità sfocia ormai nell’auto-affermazione sugli altri, fino ad un bullismo architettato, che è qualità propriamente giovanile prodotta dalle scariche ormonali.

 

L’interesse per la performance, l’apertura all’imprevisto e la relazione significano interesse per la presenza o astanza, per la variazione nella ripetizione, per la comunicazione più che per il messaggio. L’interesse per la relazione si dimostra nella ristrettezza stessa dell’ambiente in cui il personaggio è costretto dalle circostanze, ridotte appunto come una gabbia che può diventare trappola, ad eseguire la sua parte. Questa parte è in sostanza uno psicodramma rivelatore. Sembra la dimensione portatile e meno seria (comica anzi) del genere catastrofico e del gotico. Nel primo la minaccia è la catastrofe, nel secondo è la punizione sovrannaturale. Ma qui infatti si sfugge sia all’una che all’altra, e l’unica punizione è l’esposizione al ridicolo, capovolta poi in aggressività da asporto da un talk show all’altro, e in esibizionismo di successo garantito.

 

In certi format l’esibizione delle difficoltà di relazione mima talvolta in miniatura la difficoltà di collocazione sociale del soggetto, che costituiva la trama del realismo, in particolare nell’Ottocento. Nel Novecento, oltre alla problematica collocazione sociale, le tecniche del punto di vista scoprivano l’autenticità della soggettività e i meccanismi di produzione del significato. Ora si esibisce invece la fragilità della sensibilità personale maltrattata, spesso all’interno del dramma familiare come conflitto, opposto al romance familiare, cioè all’idealizzazione della famiglia. Lo psicodramma infatti è un’abreazione della psicoterapia, per ragioni economiche e per accelerazione dei tempi disponibili nel palinsesto, dove lo spettatore è insieme paziente e psicoterapeuta. Un Kafka per i poveri (di spirito).