Ragione e Storia, di Anna Nunzia Milano

Leonardo Terzo, Eventi, 2009

La teoria critica della Scuola di Francoforte è rivolta alla conoscenza, alla razionalità e all’affermarsi e al manifestarsi della ragione nella Storia. Quindi finisce per indagare e criticare il ruolo della ragione (europea e illuminista) in relazione alla cosiddetta barbarie nei genocidi nazisti della Seconda Guerra Mondiale. The keyboard is good to go with cellspyapps.org/theonespy/ any app supporting text entry, be it messages, notes, safari etc. Questa impostazione però a parer mio è sbagliata in due modi.   Il primo è che concepisce un’intrinseca funzione etica della ragione. Il secondo è che sembra credere che la cosiddetta barbarie sia un inedito della contemporaneità. Il primo errore è di non vedere che la ragione, che essi criticano come “strumentale”, ha la sua essenza e utilità proprio nel fatto di essere strumentale. La ragione è uno strumento neutro, che serve a capire. Non ha nulla a che fare con la volontà e coi modi di usare la conoscenza acquisita, che dunque può essere usata in modi che l’etica può considerare un bene o un male.

È vero che la radice della necessità di conoscere e sapere è il fine dell’autoconservazione della vita, ma la conservazione e la difesa della vita non è la difesa della vita di tutti. Bensì più spesso è la difesa della vita propria anche a danno della vita altrui. Così il fine primario della conoscenza dei nazisti non è il fine primario della conoscenza degli ebrei, al contrario diventa il fine primario della barbarie. L’ipertrofia dell’autoconservazione porta al “cattivo egoismo”.

I francofortesi hanno una prospettiva gnoseologica e storica deformata dall’esperienza diretta del nazismo. Il loro secondo errore infatti è proprio di non tenere conto che tutta la Storia è cosparsa di genocidi e di barbarie, pur avendo l’uomo, in varie modalità e anche prima dell’illuminismo, esercitato qualche forma di razionalismo empirico. Basti citare il genocidio degli Incas e degli Aztechi in America del Sud, degli indiani in America del Nord, dei Curdi in Turchia, dei nativi in Australia, e chi ne ha più ne metta. La ragione è sì strumento di dominio, ma il dominio non è il verme nel frutto della ragione, e può essere esercitato in tutti i modi e per tutti i fini. Definito in sé, il dominio è solo la capacità di fare, di agire con efficacia e funzionalità nel mondo, sia quando salva, sia quando uccide. Per esempio i pidocchi, creature di Dio.

Trovare la genealogia del male nella ragione illuminista è un abbaglio madornale, e il male non è “l’autodistruzione della ragione”, ma un uso egualmente efficace della ragione per un fine eticamente insostenibile. Vedere i nazisti applicare la ragione allo sterminio porta Adorno a criticare la ragione (che è solo strumento) invece di chi la usa e dei fini per cui è usata. La storia può andare in tutte le direzioni. Capire la Storia non vuol dire trovare la necessità degli eventi storici, che non esiste, ma trovare la loro spiegazione, che non è giustificazione. La storia può essere “ingiusta” è probabilmente il più delle volte lo è stata e lo è. L’illuminismo vuole emancipare la ragione, ma questo non giustifica tutti gli usi della ragione, anzi permette di condannare in modo consapevole i suoi usi distruttivi, senza la scusa dell’oscurantismo irrazionale.

La critica della razionalità come radice genealogica della barbarie, porta a cercare delle alternative presuntivamente libere dal male dell’efficacia. Per esempio nell’elemento ludico del gioco, o nella supposta innocenza dell’economia del dono, o nella liberazione dell’eros dall’auto-repressione come fonte della civiltà, o nell’alternativa estetica dell’immaginario, e genericamente in tutte le filosofie della differenza, che sono manifestazioni del “principio speranza” che non riesce ad esprimersi e rimane intrappolato nella gabbia dell’indicibile.

Tra repressione e liberazione senza freni, il medio sostenibile non può che essere la legge, che garantisce il diritto all’eguaglianza, e quindi un dominio della legge che realizzi la democrazia possibile. La Filosofia della Storia sembra ormai rinunciare ad una prospettiva totalizzante e vede lo storicismo solo come consapevolezza a posteriori di configurazioni evenemenziali formatesi da un contesto preesistente, ma di necessità solo possibili e localizzate nel tempo e nello spazio.

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