Finale di Coppa: il calcio parlato in soccorso del vincitore. (Niccolò Morro, 7 giugno 2003)

 

Ripubblichiamo un articolo di Niccolò Morro del 2003, perché sempre d’attualità. Anche se le squadre cambiano, l’atteggiamento dei giornalisti è sempre lo stesso.

L’esito della recente finale di coppa dei campioni fra due squadre italiane offre un interessante osservatorio sulla natura di ciò che Gianni Brera chiamava “il calcio parlato”, rispetto al calcio giocato.

Prima della partita, impressionava l’assoluta parità dei pronostici, e molti prevedevano addirittura il pareggio senza reti che si è poi verificato. Tale risultato rispecchiava perfettamente l’andamento del gioco in campo. Ma appena l’ultimo calcio di rigore non sbagliato ha inevitabilmente dato la vittoria ad una delle contendenti, ecco quasi tutti i commentatori sentenziare e sproloquiare sulla giustezza dell’esito.

A quel punto infatti, appena visto il risultato finale, sono stati tutti pronti a certificare che: la vincitrice aveva sicuramente meritato la vittoria, avendo dominato la partita per gran parte del primo tempo e anche nel secondo, e poi nei tempi supplementari aveva giocato praticamente in dieci…

A parte i giornalisti dipendenti, direttamente o indirettamente, dal padrone del Milan, i quali naturalmente “hanno famiglia” (ma le loro famiglie lo sanno cosa fanno per vivere?), anche gli altri si sono sperticati in lodi ai vincitori, e in voti in media di un punto e mezzo superiori a quelli appioppati ai perdenti. Escludendo che anche loro sperino di essere assunti dallo stesso padrone, ma forse è escludere troppo, credo sia necessario esaminare i motivi per cui si verificano queste incredibili vassallate “in buona fede”.

Occorre chiarire in via preliminare che una partita di calcio può sempre essere vista con almeno due atteggiamenti: come spettatore neutrale mi sono per lo più annoiato. Chiarisco che non disprezzo affatto il gioco difensivo, al quale anzi attribuisco il suo valore, anche estetico. Tuttavia, ad onor di statistica, entrambe le squadre hanno avuto una sola occasione da gol. Quella del Milan, su grande colpo di testa in tuffo di Inzaghi, è stata neutralizzata da una parata egualmente grande di Buffon, ma era un’azione tecnicamente viziata dal fatto che nasceva da un passaggio indietro sbagliato di Montero.  

Gli sbagli infatti hanno dominato questa partita molto più delle azioni costruite. In certi momenti, invece che di una partita di calcio, sembrava una partita di tamburello, perché ogni passaggio era all’avversario invece che ad un compagno

Ma questo è il modo sbagliato di guardare una partita. Il modo giusto è quello del tifoso. Per il tifoso tutto acquista importanza, ogni rimbalzo della palla è significativo e carico di tensione e di ansia e, in questo senso, è anche bello. Al tifoso giustamente interessa solo vincere, il che significa fare un gol più degli avversari, in qualsiasi modo, anche di natica. (Escluderei dalla fortuna gli errori arbitrali, che però in questo caso non hanno influito.)

Nei giochi di competizione infatti ciò che conta è superare l’avversario che si ha di fronte “qui ed ora”, nelle contingenze di quella specifica partita. Non ha senso fare paragoni con altre partite reali o ideali, e ogni eventuale prova precedente di presunto bel gioco non serve a nulla. Ogni squadra, se vuole vincere, deve ottenere in quel dato momento, in quelle specifiche condizioni di forma, il suo risultato.

Né contano le occasioni da gol, perché, se sono state sciupate, questo è un punto di demerito che giustifica eventualmente la sconfitta e non il contrario. Tanto meno conta il cosiddetto “possesso palla”, perché continuare a tenere la palla senza metterla in rete caso mai sottolinea l’impotenza realizzativa della tattica scelta.

La finale è così finita, mestamente per gli osservatori neutrali, e nervosamente per i tifosi, nella più assoluta parità, persino dopo i supplementari, ed è stata risolta ai rigori, che è un metodo pratico, appena più valido del lancio della monetina, che poneva tutto in bocca alla sorte o, come avrebbe detto il bravo Omero, sulle ginocchia di Giove.

Persino i rigori sono stati per lo più sbagliati, e solo un paio sono stati veramente parati. Gli altri sono stati praticamente tirati addosso ai portieri. In queste circostanze tuttavia i vincitori hanno pur diritto di gioire, perché hanno fatto qualcosa in più, anche se un in più infinitesimale, degli avversari, e di diritto sono campioni d’Europa come squadra di club.

Resta da capire perché la stampa, televisiva e giornalistica, si sia messa ad inventare meriti inesistenti dei vincitori, al di là dell’ultima freddezza nel calciare il rigore finale. Le ragioni, tutte naturalmente opinabili, sono varie.  

Una ragione potrebbe essere la voglia del commentatore ben intenzionato di convincere i lettori e se stesso che non può essere solo questione di fortuna, che insomma ci deve essere un senso nei risultati dello sport, anche quando nessuna delle due squadre meriterebbe la vittoria.

Un’altra ragione è che il lavoro del cronista assomiglia sempre di più a quello del venditore televisivo che offre all’ascoltatore la partita come un prodotto. E il prodotto deve essere magnificato anche quando è di qualità scadente, altrimenti non si vende.

Infine si sa che in Italia c’è l’antico vizio di andare in soccorso del vincitore. Strano caso, questa volta il vincitore aveva davvero bisogno di soccorso.

Nicht mehr die art oder das individuum, sondern das gen, als warum nicht hier schauen kleinste einheit des lebendigen, kämpfte in den jahrmillionen der evolution um sein überleben und damit um unsterblichkeit