Metafore della politica culturale.

Nelle viscere di nuovi modi di produzioneLeonardo Terzo, Nelle viscere dei nuovi modi di produzione, Milano 2015

L’egemonia culturale tende ad apparire come universalità, radicata nella tradizione, e persino nella natura. Ma, a partire dal modernismo, cioè con le avanguardie, anche apparire alternativi e diversi può diventare un vantaggio, ed allora essere minoritari significa essere elitari. Specularmente, il risvolto negativo sarebbe che essere elitari comporta essere minoritari. E diventa importante la differenza della collocazione metaforica spaziale, tra una posizione elevata e una posizione marginale.

La politica culturale per sua natura agisce nell’ambito delle sovrastrutture, con effetti di volta in volta incisivi o poco efficaci, ma nella seconda metà del secolo scorso i maggiori cambiamenti prodotti dall’attivismo delle lotte sociali sono avvenuti nell’ambito dell’impegno antirazziale (negli Stati Uniti), del femminismo e delle rivolte giovanili, convergendo alla fine negli “stili di vita” delle cosiddette “sottoculture” (rock, mod, punk, ecc.), capaci di caratterizzare i connotati sociali di quei decenni, ma apparentemente senza conseguenze per le strutture economiche.

Forse però l’impegno negli “stili di vita”, vale a dire in ultima analisi nella dimensione ostensiva e spettacolare della pretesa alla soggettività non era che il sintomo che il mutamento storico stava avvenendo (ancora una volta) nelle viscere dei modi di produzione, vale a dire nell’avvento della rivoluzione tecnologica e nella nuova industria pesante adeguata ai tempi: la comunicazione.

Infatti sia riconoscersi elitari che minoritari permette di acquisire comunque un’identità e una soggettività sulla scena pubblica e nella situazione storica date. Perché identità e soggettività politica condizionano la possibilità di agire in rapporto ai valori e al potere, avendo peraltro la consapevolezza di non poter reclamare né verità incontrovertibili, né un relativismo assoluto, ma solo opportunità emergenti dalle condizioni e dalla coscienza storica possibile.

Al contrario la filosofia della differenza postmodernista ha interpretato e collocato le differenze sociali in un sistema di permutazioni ludiche invece che in una struttura di sfruttamento e oppressione quale realmente è. Ma ora anche le filosofie della differenza, seppure sopravvivranno, cambieranno i loro strumenti metaforici.

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